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La Provincia di Brindisi - OSTUNI

LA PALA DELLA "DEPOSIZIONE" ATTRIBUITA A PAOLO VERONESE
Le travagliate vicende del quadro Cinquecentesco che continua a far discutere
circa la sua attribuzione

La pala della “Deposizione” o del “Cristo deposto dalla Croce”, attribuita al noto pittore veneziano Paolo Caliari detto il Veronese (Verona, 1528 – Venezia, 19 aprile 1588), è ritenuta la più prestigiosa opera cinquecentesca presente in Puglia. Il privilegio di conservare al suo interno uno dei più importanti capolavori dell’arte veneta rinascimentale è vantato dalla chiesa di Maria Santissima Annunziata in Ostuni, l’interessante edificio sacro risalente alla fine del XII secolo, oggi nel cuore del centro abitativo della nota Città Bianca.


La Deposizione della Chiesa dell’Annuziata di Ostuni attribuita a Paolo Caliari detto il Veronese (1574)
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Il prestigioso dipinto, un olio su tela di rilevanti dimensioni (2.80 x 1.72 metri), lo si può ammirare, ben posizionato ed illuminato, entrando in chiesa e procedendo nella navata di sinistra. Rappresenta, in uno “schema compositivo di tipo piramidale con il punto di vista abbassato”, il momento della deposizione del Cristo dalla croce, attorniato dalla Madonna, dalla Maddalena, da san Giovanni Evangelista e san Giuseppe d’Arimatea. Tutte le figure sono in primissimo piano, a raccolta nella contemplazione mistica attorno al corpo disteso e abbandonato di Gesù morto, nei loro visi afflitti è ben evidente l'espressione angosciata ed intensa del dolore e dello stupore; sullo sfondo un cielo azzurro con nuvole bianche e rossastre, mentre in alto a destra, in prossimità della croce, due angioletti in volo assistono alla drammatica scena, elementi questi che bilanciano e riequilibrano l’intera composizione pittorica, ricca di “delicata bellezza” tipica del periodo rinascimentale.

La tela, datata 1574, farebbe parte dell’ultimo decennio d’attività del Veronese, infatti, secondo l’opinione di alcuni studiosi, si evidenzierebbe un palese accostamento alla pittura del Tiziano, artista più anziano di una generazione e che tanto ha influenzato lo stile naturalistico del Caliari. L’intensità cromatica maggiore è evidente nei “tocchi vibranti delle pennellate” che si evidenziano nelle pieghe delle vesti e nei manti dei personaggi rappresentati, così come nei loro visi “costernati dalla pietà”.
L’artista, noto per i suoi dipinti a soggetto religioso e mitologico di grande formato, è da sempre apprezzato per la brillantezza cromatica e per “l'eleganza aristocratica delle sue figure e per la magnificenza del suo spettacolo", anche per questo è considerato uno del “grande trio che ha dominato la pittura veneziana del cinquecento" (D. Rosand, 1997) insieme a Tiziano e al Tintoretto.


La pala della "Deposizione" nella chiesa della SS. Annunziata in Ostuni.
A dx Paolo Caliari detto il Veronese (autoritratto. Museo dell'Ermitage San Pietroburgo)

La presenza dell’importante dipinto in Ostuni è dovuta alla committenza del “magnifico” Andrea Albrizi (o Alberici), un nobile originario di Lecco iscritto al patriziato cittadino sin dal 1558, nominato viceconsole della Repubblica di Venezia dal 1574 al 1579 con l’incarico di gestire il traffico dell’olio per conto della Serenissima, che volle ornare la propria cappella gentilizia all’interno della chiesa, all’epoca affidata agli Osservanti. Il tempio sacro infatti, per circa tre secoli, fu scelto da alcune famiglie facoltose come sede di cappelle per i propri sepolcri e per la cura delle anime, adornando gli altari con opere di elevato pregio artistico. Anche Giovanni Antonio Albrizi, fratello di Andrea, avrebbe donato alla chiesa dei padri riformati di Salice Salentino una “Visitazione” attribuita al Veronese, opera poi andata perduta durante un incendio avvenuto nel 1895.

In un’epoca successiva ma non precisata, le cronache raccontano del tentativo di un sedicente vicerè, probabilmente il futuro duca di Ostuni Giovanni Zevallos, di acquistare e portare a Napoli la tela ostunese, rischio sventato dai Padri Riformati grazie alla presenza in convento del frate Giacomo di San Vito, buon pittore e autore di opere ancora oggi conservate nel tempio, che riuscì ad eseguirne in una notte una copia di buona fattura, poi appesa sull’altare al posto dell’originale prudentemente nascosto. Verosimilmente il falso realizzato da fra Giacomo, mostrato al Duca, rimase comunque nella chiesa della SS. Annunziata prima di essere donato “dal cappellano ad un pittore di Ostuni” nella prima metà dell’800, anche se nei verbali degli arredi – datati 1904 - è ancora presente in sagrestia un quadro “della schiodazione”, oltre all’originale riposto sull’altare dedicato ai SS. Cosma e Damiano. Un’altra copia del dipinto, attribuita al pittore mesagnese Andrea Vito Cunavi (1579 - post 1629), è nella chiesa di sant’Anna a Mesagne.


Il dipinto durante un concerto di musica antica (Barocco Festival - ph. G.Membola 2019)

L’opera, descritta come la più importante tra quelle veronesiane in Puglia e dell’intero patrimonio artistico regionale, “che in assoluto gode di una consolidata celebrità per la sua straordinaria fattura” (M. Guastella, 1998) continua però a far discutere esperti e storici dell’arte sulla sua definitiva attribuzione: negli anni sono stati in tanti ad occuparsi della paternità del dipinto, per alcuni la firma è del maestro veneto con l’intervento della sua “bottega”, (era prassi per gran parte degli artisti rinascimentali contare su validi collaboratori che aiutavano o sostituivano il loro maestro nel completamento delle opere), per altri è ritenuto un lavoro esclusivo della Bottega di Paolo Veronese, in cui operavano anche suo fratello Benedetto e i figli Paolo e Gabriele, i cosiddetti “Haeredes Pauli”. Sembra comunque confermata l’idea che il quadro è nato dall’ispirazione del grande maestro rinascimentale, infatti nel 1984 è stato individuato a Berlino un disegno che raffigura il capolavoro ostunese, oggi considerato “il reperto più prezioso della chiesa e della città per quanto riguarda le arti figurative” (V. Lorusso, 2006).


La restauratrice Chiara Stella Sasso durante il restauro del dipinto

La tela fu trafugata la notte tra il 22 ed il 23 ottobre del 1975 e trasportata sino a Milano probabilmente per essere venduta come opera di pregio in qualche collezione privata, forse in Medio Oriente. Venne fortunatamente recuperata il 15 marzo del 1977 dalla Squadra Mobile in un casolare di Brindisi in località Punta Penne. Seguì un restauro curato dalla Soprintendenza di Bari, completato nel febbraio dell’anno dopo, e l’installazione di un sistema di allarme e di un vetro antiproiettile a protezione dell’opera in chiesa.
Nel 2006 un nuovo intervento di restauro del dipinto è stato effettuato nell’ambito del “Progetto Rinascimento” dalla nota restauratrice Chiara Stella Sasso (titolare della ditta “Conservazione e Restauro di Opere d’Arte” di Martina Franca) con la supervisione scientifica della dott.ssa Caterina Ragusa, che ha visto la rimozione dei materiali alteranti e alterati presenti sulla tela e il ripristino dell’integrità globale delle immagini dipinte mediante ricomposizione del tessuto cromatico esistente.


Chiesa SS. Annunziata. Interno (ph. G.Membola 2019)

La chiesa della SS. Annunziata custodisce al suo interno molte altre importanti e pregevoli opere statuarie e pittoriche realizzate su tela, legno e affreschi, risalenti ad epoche diverse, oltre a numerosi ed eleganti decorazioni in gesso e stucchi settecenteschi, un vero e proprio percorso espositivo che dovrebbe essere ben conosciuto e meglio valorizzato soprattutto dalla popolazione locale e provinciale.

Giovanni Membola
per Il 7 Magazine n.121 del 1/11/2019

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