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Monumenti - TORRE DELLA MASSERIA LU PLEMA

E' stata il simbolo del paesaggio agricolo brindisino del XVII secolo

Sul lato destro della strada che conduce all’aeroporto civile di Brindisi, poco prima dell’ultimo rondò, si nota un ampio fabbricato ormai ridotto a rudere, contraddistinto da una alta torre quadrata in parte tinteggiata di colore rosso. E’ ciò che rimane dell’antica masseria Lu Plema, o Prema, i cui fabbricati originali risalgono alla prima metà del cinquecento.


I resti della masseria e la torre del Plema (2018)

Osservando le precarie condizioni in cui versa l’antico manufatto, è difficile percepire quale sia stato il reale valore storico funzionale nei suoi cinque secoli di vita. La torre del Plema infatti faceva parte di quelle masserie dotate di torre d’avvistamento realizzate nell’entroterra brindisino con lo scopo di ricevere i segnali di avvistamento dal cordone di torri presenti lungo la fascia costiera, erette nel XVI secolo con l’ordinanza del vicerè Don Pedro Afan de Ribera duca d'Alcalà, ovvero Torre Guaceto, Torre Testa, Torre Punta Penne, Torre Cavallo e Torre Mattarelle, e diffonderlo alle vicine masserie e alle altre torri presenti nei dintorni, in maniera da allertare la popolazione e predisporre una valida difesa per arginare e respingere le incursioni dei turchi ottomani stanziati sull’altra sponda dell’Adriatico, che frequentemente sbarcavano sul nostro litorale facendo razzia nei centri abitati e depredando i casali agricoli.

Nello specifico la torre del Plema individuava le segnalazioni, fatte con il fumo di giorno e il fuoco di notte o più raramente con il suono di corni, campane o tamburi, provenienti principalmente dalla torre di Punta Penne, ma anche da quella più a nord situata in località Giancola (Torre Testa di Gallico), attraverso la vicina torre della masseria Pinti (nei pressi dello stabilimento ex Agusta Westland), e a sua volta diramava l’allarme con gli stessi mezzi alle altre strutture presenti all’interno del territorio, come la torre situata in contrada Mitrano, e quindi alla successiva posta più a ovest in contrada Campobasso, poco oltre il Bosco del Compare.


La torre del Plema (2018)

La posizione e la distanza tra queste costruzioni erano tali da permettere ai torrieri di comunicare visivamente con quelli delle torri più vicine, questi, una volta completato il loro compito, si asserragliavano all’interno offrendo asilo ai componenti delle famiglie presenti nelle aziende agricole.
Tra le diverse masserie dotate di torre d’avvistamento ancora oggi visibili, si possono citare a nord di Brindisi Torre Regina Giovanna, Baccatani, Badessa e Grottamiranda, lungo la direttrice interna verso ovest le masserie Masina, San Giorgio, Baroni, Belloluogo e Incantalupi, a sud le strutture fortificate di contrada Pigna, Santa Teresa e Villanova.

Viste le funzioni limitate al solo avvistamento e alla “difesa passiva”, buona parte di queste torri erano state realizzate di modeste dimensioni e potevano ospitare talvolta una guarnigione composta al massimo un paio di militari dotati di un armamento molto limitato. Il principale compito di questi edifici era legato all’attività agricola che si svolgeva nei terreni limitrofi e nei fabbricati disposti a corte intorno alla torre. Talune disponevano di caditoie, una sorta di apertura stretta posta sulla parte alta della torre quasi sempre su ogni lato e in corrispondenza di varchi di accesso o finestre, che permetteva ai difensori di far cadere sul nemico pietre e liquidi infiammabili o bollenti, proteggendoli dall’assalto.


La caditoia della torre alla masseria Campobasso

Tra tutte queste strutture solo la torre del Plema ha assunto l’importante ruolo di “elemento caratteristico del paesaggio agricolo brindisino”, infatti è stata raffigurata sulla celebre pianta di Brindisi di Johannes Blaeu, pubblicata ad Amsterdam nel 1663 nei tre volumi sulle città italiane, ristampata nel 1704 dal francese Pierre Mortier nella sua opera “Nouveau Theatre de l’Italie” dove le lastre del Blaeu vengono ritoccate e modificate in piccola parte. Su questa stampa, erroneamente attribuita alla città di “Tarento“, la torre è provvista da una merlatura ora non più esistente, ed è l’unica struttura ad essere rappresentata ed indicata con il toponimo. L’origine del nome del luogo deriverebbe - secondo alcuni studiosi – dal termine greco che indicherebbe la presenza nell’area di sorgenti di acqua o comunque di un serbatoio di contenimento della stessa, che talvolta era presente alla base delle torri di avvistamento come raccolta delle acque piovane convogliate da un apposito cordolo. Secondo autori più recenti il toponimo deriverebbe invece dal nome del proprietario della masseria, ovvero tale Angelo Plema che nel 1584 acquista numerosi altri terreni confinanti ai suoi possedimenti nella zona, poi concessi in parte in enfiteusi. Angelo Plema è certamente un personaggio rilevante dell’epoca, facoltoso ed intraprendente, figura fra gli eletti della civica amministrazione di Brindisi nel 1570. Tra i successivi proprietari della Masseria si annoverano anche alcuni componenti della famiglia Granafei.


Litografia del 1704 di Pierre Mortier (riferita al Blaeu). In alto, cerchiata, la torre del Plema

Nonostante le torri costiere fossero state edificate e collocate secondo una logica strategica, dove da ognuna se ne potessero vedere altre due così da diramare rapidamente l’allarme, in pratica non sempre sono risultate utili a tale scopo. Il 5 giugno del 1676 infatti la masseria Plema venne saccheggiata durante una incursione turca sulla costa brindisina: due galere giunsero alle tre di notte nei pressi di Punta Penne riuscendo ad eludere la sorveglianza del capo torriere, dei guardiani e dei cosiddetti “cavallari”, le sentinelle che per una maggiore sicurezza scandagliavano il litorale e perlustravano costantemente i lidi. I saraceni riuscirono a sbarcare indisturbati e a depredare ben cinque masserie “e vennero sino dietro la Madonna del Casale de padri riformati”.
Il 10 ottobre dello stesso anno un’altra imbarcazione fu capace di approdare nel tratto di costa tra Punta Penne e Giancola senza essere intercettata, i musulmani sequestrarono e ridussero in schiavitù ben dodici persone prelevate dalle masserie vicine, oltre al solito ingente bottino composto principalmente da prodotti agricoli ed alimentari.

Testo di Giovanni Membola
Pubblicato sul settimanale "Il 7 Magazine" numero 38 del 9 marzo 2018

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