LE STORIE DELLA NOSTRA STORIA
L'ASSEDIO DI CESARE
A POMPEO A BRINDISI
Nel 49 a.C. con il passaggio del fiume
Rubicone, citando la celebre frase “alea iacta
est” (il dado è tratto) Caio
Giulio Cesare apriva di fatto la guerra civile
tra il suo esercito e quello del console romano Pompeo,
che gli aveva intimato di non oltrepassare il limite
al fine di non dichiararsi “nemico di Roma”.
Gneo Pompeo Magno sperava di avere
dalla sua parte buona parte dell’Italia, ma fu
poi costretto a fuggire e rifugiarsi a Brindisi, città
fortificata e porto d’imbarco per quell’oriente
a lui fedele.
Itinerari di Cesare e Pompeo
in Italia nel 49 a.C. - da Vikipedia
Nella città adriatica il console
“fa radunare da ogni parte presso di sé
tutte le truppe formate dai nuovi coscritti; arma servi
e pastori; fornisce loro cavalli; con essi mette insieme
circa trecento cavalieri” (De
Bello Civili - Libro I, XXIV). Qui vi rimase
con 20 coorti imbarcando il resto dell’esercito
sulla flotta diretta a Durazzo, agli ordini dei consoli
Claudio Marcello e Cornelio Lentulo. Inviò inoltre
suo figlio Gneo Pompeo e Metello Scipione in oriente
con il compito di radunare i soldati.
Fu catturato invece Gneo Magio, comandante del genio
dell'esercito di Pompeo, che Cesare inviò nella
città a trattare con Pompeo le condizioni per
una possibile pace; così scrive nel suo De
Bello Civili (Libro I, XXIV):
"poiché fino a quel momento non era
stato possibile un colloquio ed egli stesso stava per
giungere a Brindisi, nell'interesse dello stato e per
la salvezza di tutti era necessario che egli incontrasse
Pompeo; invero, quando, costretti da grande distanza,
si conducono negoziati tramite altre persone, le cose
procedono ben diversamente da quando la discussione
avviene direttamente”. Ma questi non fece
ritorno né tantomeno vi fu risposta.
Cesare
giunse a Brindisi con sei legioni, tre di veterani e
le altre formate dalle nuove leve completate durante
la marcia, pertanto non poteva permettersi un assedio
alla città o una battaglia al suo interno. Il
generale “non aveva potuto sapere con sicurezza
se Pompeo era rimasto per mantenere in suo possesso
Brindisi, per avere con più facilità il
controllo di tutto il mare Adriatico, a partire dalle
estreme parti dell'Italia e dai territori della Grecia,
ed essere in grado di condurre la guerra dai due fronti,
o se qui si era fermato per carenza di navi”
(De Bello Civili - Libro I, XXV).
Pertanto fu deciso di impedire la fuga via mare ai pompeiani
ed al loro console cercando di chiudere l’uscita
del porto ostruendo il passaggio tra le sponde più
ravvicinate, probabilmente in corrispondenza dell’attuale
Canale Pigonati. In acqua furono gettati massi e pietre
cavate dalle colline in prossimità dell’imboccatura,
ma l’opera richiedeva un grande impegno e notevole
tempo durante, inoltre chi operava in questo lavoro
rappresentava un obiettivo dei pompeiani che utilizzavano
frecce e dardi dall’interno della città.
Cesare decise di creare un molo su entrambi i litorali,
e “man mano che ci si allontanava da quei
due punti, non potendo essere costruito un terrapieno
per la maggiore profondità dell'acqua, faceva
collocare, in continuazione della diga, coppie di zattere
della larghezza di trenta piedi per lato. Le faceva
fissare con quattro ancore, una da ciascun lato, perché
non venissero spostate dai flutti. Una volta completate
e messe al loro posto queste zattere, ne faceva successivamente
aggiungere altre di pari grandezza. Le faceva riempire
di terra e di altro materiale, affinché fosse
possibile passarvi sopra e accorrere alla difesa; faceva
proteggere la parte frontale ed entrambi i fianchi con
graticci e palizzate; sopra ogni quarta zattera faceva
innalzare una torre di due piani per una migliore difesa
contro l'abbordaggio e gli incendi”.
In questo modo poteva essere impedito a Pompeo di fuggire
via mare o di ricevere soccorsi dalle navi in arrivo
e nello stesso tempo diveniva utile a Cesare per passare
da una parte all’altre delle sponde del porto.
Assedio di Cesare a Pompeo;
Palladio - 1619
"In risposta a questi preparativi,
Pompeo faceva allestire grandi navi da carico, prese
nel porto di Brindisi. Su di esse faceva innalzare torrette
a tre piani e, riempitele con molte macchine da guerra
e con ogni genere di armi, le lanciava contro i lavori
di sbarramento, che Cesare stava facendo, per distruggere
le zattere e fare azione di disturbo. Così ogni
giorno da entrambe le parti si combatteva da lontano
con fionde, frecce e altri tipi d'arma.”
(De Bello Civili - Libro I, XXV
- XXVI).
Trascorsero
nove giorni durante i quali i lavori voluti da Cesare
giunsero a circa metà dell’opera, quando
fecero ritorno le navi che avevano trasportato la prima
parte dell’esercito di Pompeo a oriente; il console
così decise di organizzare la sua fuga via mare
prima che i lavori di chiusura del porto fossero terminati,
il tutto doveva svolgersi di notte ed in silenzio, lasciando
poche guardie sulle mura della città che ad un
segnale dovevano poi scappare a bordo di imbarcazioni
veloci. Ordinò la muratura delle porte cittadine
e fece scavare dei fossi nelle strade principali dove
furono conficcati dei pali appuntiti occultati da graticci
e terra, in maniera da rendere una trappola ai soldati
di Cesare che poi dovevano seguire i fuggitivi.
Il passaggio dell’armata riuscì nel suo
intento, forse lo stesso Cesare aveva deciso di lasciarli
andare per allontanare il rivale dall’Italia o
anche perché si sentiva chiuso dal nemico sia
dal mare che dalla terra. Non avendo una flotta, Pompeo
non fu neanche inseguito e giunse libero dall’altra
parte dell’Adriatico il 17 marzo.
Gli abitanti di Brindisi, risentiti per il comportamento
del console e dei suoi soldati, erano apertamente schierati
dalla parte di Cesare. Subito dopo partenza di Pompeo,
inviarono segnali sui pericoli nascosti nella città
ai cesariani, che erano in procinto di scavalcare le
mura con le scale, questi furono fatti entrare nella
città dopo un lungo giro.
Per il momento Cesare tralascia di
inseguire Pompeo; decide di tornare a Roma e quindi
in Spagna; ordina ai duumviri (magistrati)
di ogni municipio di procurarsi delle navi e farle pervenire
a Brindisi da dove salpa il 4 gennaio del 48 a.C. alla
volta della terra dei Germini (costa dell'Epiro).
Nel frattempo il pompeiano Libone,
con una una flotta di cinquanta navi, giunse a Brindisi
e occupò l'isola che si trova di fronte al porto,
che fu utilizzata come base d'attacco per cacciare dai
posti vicini i presidi della cavalleria di Cesare e
spargere lo spavento tra i suoi soldati. Marco
Antonio, però, assediò a sua
volta Libone e, impedendogli di rifornirsi di acqua
potabile, lo costrinse a fuggire.
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