LE STORIE DELLA NOSTRA STORIA
BRINDISI DI FINE
'700 RACCONTATA DALLO SCRITTORE FRANCESE CASTELLAN
Nel 1797 il noto letterato raccolse una serie di impressioni
sulla città e sulla popolazione poi pubblicate
in un interessante volume dove raccontò anche
il fenomeno della taranta
Uno dei periodi più
bui della storia brindisina è stato vissuto negli
anni a cavallo tra la fine del Settecento ed il primo
trentennio dell’Ottocento, la città era
in uno stato tale di decadimento che nel 1829 fu ipotizzato
addirittura un possibile abbandono. I primi lavori di
sistemazione del porto completati dal Pigonati nel 1778
e i successivi compiuti dagli ingegneri Carlo Pollio
e Carlo Forte, non sortirono gli effetti sperati: il
progressivo intasamento dell’imbocco al porto
interno compromise il passaggio dei bastimenti e la
conseguente ricomparsa delle paludi e delle malattie
malariche nella popolazione.
La triste situazione
venne descritta in tutta la sua tragicità dallo
scrittore francese Antoine Laurent Castellan,
di passaggio da Brindisi nel suo “Grand Tour”
europeo e qui costretto a sostare per un periodo di
quarantena di circa due settimane, dal 20 agosto al
2 settembre del 1797. Durante il suo soggiorno trascorso
in parte sull’imbarcazione ancorata in località
Fontanelle, il famoso letterato transalpino ebbe modo
di osservare e descrivere con particolare accuratezza
le caratteristiche dei luoghi, dei paesaggi e dei monumenti
cittadini, raffigurandone alcuni nei suoi scritti pubblicati
poi a Parigi nel 1819, in uno dei tre tomi del noto
volume “Lettres sur l’Italie”,
confermando così anche le sue doti stilistiche
di illustratore ed incisore. Alla nostra città
ha dedicato numerose “lettere”, arricchite
di interessanti spunti di osservazione e di riflessione
sulla situazione sociale e sui costumi di quegli anni.
E non solo.
Brindisi, anche se
aveva “abbastanza case per ospitare fino a
quarantamila abitanti”, era popolata da sole
seimila anime che si nutrivano poco e male, quasi esclusivamente
di cipolle bianche, inoltre c’erano stuoli di
mendicanti appostati ad elemosinare il cibo alle porte
delle chiese e dei conventi, luoghi molto numerosi all’epoca:
circa la metà della popolazione infatti era costituita
da religiosi, ciò scaturiva dalla necessità,
principalmente economica, per molte famiglie di destinare
i propri figli ad una vita monastica, dove era garantito
un reddito fisso grazie alle rendite delle tante proprietà
inalienabili, amministrate con ordine e severità
dagli ecclesiastici. Oltre al collegio delle Scuole
Pie, gestito dai Padri Scolopi, e alle varie congregazioni
e confraternite, vi erano numerosi conventi e monasteri,
maschili e femminili, obbedienti alla regola di san
Benedetto, dei Minimi di san Francesco, delle cappuccine,
dei gesuiti, degli agostiniani, dei domenicani e dei
carmelitani scalzi, qui si veniva accolti e si viveva
in comunità, tra liturgie, giochi e musica, “i
parlatori divengono veri e propri salotti –
osservò il Castellan - e in alcuni si fa
a meno persino della ruota e della grata”.
In tanti hanno vissuto l’intera esistenza all’interno
di questi complessi religiosi, rinunziando ai “piaceri
della società” e senza nemmeno conoscere
la casa paterna.
“La città
è povera, il suo interno é triste e deserto,
non ci sono quasi affatto botteghe e le poche non hanno
che gli articoli di prima necessità - scrisse
il saggista originario di Montpellier - se si vuole
il più piccolo oggetto di lusso, bisogna farlo
venire da Lecce, Barletta e persino da Napoli”,
con ingenti costi. “Le malattie hanno spopolato
intere strade […] la maggior parte dei
bambini non raggiunge la pubertà e gli altri,
pallidi e senza forza, trascinano un´esistenza
triste e dolorosa che finisce spesso con spaventose
malattie. Gli abitanti diminuiscono giorno per giorno
in modo spaventoso, soprattutto durante i grandi caldi”.
Anche la notte non si riusciva a sopportare l’odore
malsano dell’aria, causato dall’accumulo
di “materie putride in disfacimento”
presenti sul fondo al mare e che generavano esalazioni
di gas fetido, lo si notava perfino nelle acque stagnanti
del porto che “ribollivano” in
continuazione, e i pochi pesci sembravano voler fuggire
da questo “elemento avvelenato, poiché
guizzavano in continuazione al di sopra della superficie
e vi si rituffavano a malincuore”.
Solo chi abitava nelle campagne pareva godere di una
maggiore agiatezza, anche a giudicare dai costumi indossati
dalle donne, considerati dal nobile viaggiatore come
“molto ricercati”; gli abiti dei
residenti in città furono invece definiti “singolari”:
l’abbigliamento maschile era simile a quello indossato
dai parigini mezzo secolo prima, meno vetusto quello
delle donne che sembrava seguire “le mode
francesi e inglesi”.
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Costumi dei brindisini
del '700
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Non c’era una
locanda degna di tale nome, ma i brindisini, nonostante
la diffusa indigenza, seppero offrire al francese ospitalità
“con una franchezza ed un disinteressamento
degni dei tempi antichi”. Don Pippo, ovvero
Philippe Thedy, un giovane originario
della Provenza stabilitosi a Brindisi da lungo tempo,
accolse l’amico offrendo “spuntini e
rinfreschi di ogni tipo”, in sua compagnia
e alla presenza delle “sue gentili sorelle”
(tra loro Elisabetta, futura madre
del cartografo Benedetto Marzolla),
lo scrittore ebbe modo di conoscere la storia della
città e dei suoi principali monumenti.
Le “fabriqués”
(fabbricati) che si presentavano nei dintorni dell’abitato
erano di “bello stile”, e poi c’erano
palme, cipressi e “alcuni altri alberi che
si levano qua e là fra le case e contrastano
con le costruzioni, rendendo la vista pittoresca e piacevole”.
La presenza di questa suggestiva vegetazione è
evidente in tutte le tavole disegnate dallo scrittore
francese, che ha ritratto alcune interessanti vedute
della città con i monumenti più rappresentativi,
come le Colonne romane e la Fontana Tancredi, quest’ultima
in un diverso orientamento rispetto alla posizione attuale,
probabilmente perché l’artista ha voluto
includere nel panorama anche il Castello Svevo, rappresentato
alle spalle del fonte per esigenze raffigurative. Nel
suo racconto, l’erudito narratore si è
molto soffermato a descriverne le caratteristiche e
lo stile architettonico dei monumenti brindisini, delle
aree archeologiche e delle tante chiese, delineando
i particolari delle cupole e dei campanili, soffermandosi
sugli elementi e gli ornamenti costruttivi.
I
monumenti brindisini disegnati da Castellan
clicca per ingrandirle |
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La Fontana Tancredi |
Le fabriques |
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la città
e le colonne |
La colonna e
il capitello |
Durante una passeggiata sul lungomare,
il Castellan, mosso dalla curiosità, si fermò
davanti ad una casa dove si era affollata tanta gente,
all’interno, nell’ampia stanza addobbata
con ghirlande, fiori e nastri colorati, altre persone
sedevano lungo le pareti mentre un’orchestrina
di quattro elementi suonava un motivo languido, ripetitivo,
che “ad un certo punto divenne più
vivace, precipitoso e saltellante”, al centro
della sala ballava una giovane donna dall’aspetto
trasandato, “danzava senza lasciare la terra,
con nonchalance, girando costantemente su se stessa
e molto lentamente; le sue mani reggevano le estremità
di un fazzoletto di seta che faceva oscillare sopra
la sua testa, e alcune volte lo gettava indietro”.
L’autore francese stava assistendo affascinato
al tipico ballo della Taranta, uno “spettacolo
che aveva qualcosa di penoso” ed era legato
a quel fenomeno che poi volle ulteriormente approfondire
e narrare in un apposito capitolo (Lettre IX. Tarentule,
effets de sa piqûre) della sua interessantissima
opera. L’effetto terapeutico della musica e il
rituale “violento e doloroso” della
danza, un esercizio a cui le donne morse dal ragno “Lycosa
tarantula” si sottoponevano “contro
voglia ma spinte da una sorta di forza irresistibile”,
venne minuziosamente descritto e dettagliato, compresa
la condizione psicofisica della donna tarantata, caduta
in un profondo malessere e sconforto. Il singolare rimedio
curativo poteva durare anche diversi giorni, sino a
quando l’ammalata non trovava sollievo al proprio
stato.
Tarantismo (ph. F.Pinna)
Giovanni Membola
per Il 7 Magazine n.151 del 5/6/2020
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