AREA
ARCHEOLOGICA DI VIA DEL MARE
Sull'area dove c'era un asilo, poi divenuto carcere,
doveva sorgere un autosilo, il ritrovamento di interessanti
reperti archeologici di varie epoche fermarono i lavori.
Oggi è un'area di sosta molto gradevole
Forse non tutti sanno
che su quel terreno in leggero declivio rivolto su via
del Mare, nei primi anni del duemila, vennero scoperti
alcuni interessanti resti archeologici appartenenti
ad un arco cronologico molto ampio. La zona è
rimasta bloccata dal vincolo della Soprintendenza e
recintata per diversi anni, sino a quando si decise
di demolire il muro perimetrale e finalmente rendere
fruibile l'intera superfice.
Oggi quel piacevole
giardinetto valorizza ulteriormente il tratto di strada
che costeggia il Seno di Levante, divenuto un luogo
molto amato e particolarmente frequentato da tanti brindisini,
ed è caratterizzato anche da importanti evidenze
archeologiche, purtroppo quasi del tutto sconosciute
alla popolazione locale.
Su quest'area, delimitata tra via Vinci, via Lata, via
Fratti e via del Mare, inizialmente doveva sorgere un
parcheggio multipiano, un progetto proposto dalla Società
Trasporti Pubblici di Brindisi e per il quale furono
demoliti buona parte dei fabbricati dell'isolato, quelli
già adibiti ad asilo infantile comunale, consacrato
da Monsignor Valeri nel gennaio del 1935 e gestito dalle
reverende suore Francescane Missionarie d'Egitto. Nel
maggio del 1944 le religiose ricevettero l'ordine di
sgombrare la casa dell'infanzia, l'edificio infatti
venne trasformato - per esigenze di guerra - in carcere
giudiziario per il confinamento degli arrestati, in
attesa del completamento dei lavori alla struttura di
via Appia. I più anziani della zona ricordano
ancora bene quando nel complesso venivano reclusi gli
"zumpisti", ovvero coloro che saltavano sui
camion militari di passaggio per rubare i sacchi delle
provviste o di altro materiale da rivendere alla "borsa
nera", ma che avevano la sfortuna di incappare
nella "Police" inglese.
Alla fine del conflitto il fabbricato fu dismesso ed
occupato abusivamente da numerosi nuclei famigliari.
Solo dopo la metà degli anni '70 si riuscì
a farlo sgomberare definitivamente, rimase chiuso per
oltre vent'anni nel più totale degrado, prima
di essere demolito.
Nel corso dello scavo
delle fondamenta di quello che doveva essere l'autosilo,
vennero alla luce alcuni resti archeologici di frequentazioni
dell'area riferiti ad un arco temporale decisamente
vasto, che va dal I secolo d.C. fino ai giorni nostri:
già nel 2003 furono eseguiti quattro saggi di
esplorazione da parte della Soprintendenza Archeologica
della Puglia, e successivamente, tra il 16 aprile e
il 28 maggio 2007 e poi nuovamente tra il 14 gennaio
e il 15 febbraio 2008, le indagini archeologiche ripresero
con lo scavo di tutta la superfice interessata, mettendo
in comunicazione i saggi aperti nel 2003. I lavori si
svolsero in collaborazione con la Società
Coop. Archeologica A.R.A. sotto la direzione scientifica
della dott.ssa Assunta Cocchiaro e la responsabilità
di scavo del dott. Giacomo D'Elia. Per esigenze
connesse alla tempistica di svolgimento dei lavori,
le indagini si concentrarono nella parte centrale del
lotto, dove fu praticato un saggio di approfondimento
mirato a verificare, tra l'altro, i rapporti stratigrafici
e la cronologia di alcune evidenze più significative
precedentemente individuate.
I rinvenimenti più antichi sono due frammenti
di una pavimentazione a forma rettangolare fatta con
"malta di colore bianco-grigio chiaro a forte componente
sabbiosa" ritrovate nello spazio a nord-ovest,
un piano pavimentale attribuito dagli studiosi al I
secolo d.C., corrispondente alla prima età imperiale.
Della stessa epoca le due buche, probabilmente di palo,
a pianta ellittica, individuate sui piani di calpestio,
una delle quali era stata riempita da frammenti di vasi
in ceramica romana, fatti di "terra sigillata italica",
che confermano la datazione indicata. L'area subì
una importante trasformazione a partire dal III secolo
d.C., lo proverebbe la costruzione di una cisterna per
l'acqua, utilizzata poi nei secoli successivi e fino
all'età moderna. L'ampia vasca era orientata
in senso est-ovest ed è stata poi parzialmente
occlusa dalle costruzioni più recenti. L'interno
del serbatoio non venne esplorato, era parzialmente
interrato rispetto a quello che era il suo piano di
calpestio esterno, una pavimentazione rivestita di malta
di ottima qualità, ma sembra certa la sua funzione
di conservazione dell'acqua. L'ambiente a cui la cisterna
era in qualche modo correlato non è stato ben
individuato e caratterizzato, alcuni elementi delle
strutture ritrovate sono stati attribuiti al IV-VI secolo
d.C.
L'area archeologica nel 2011
Durante le fasi di
scavo furono recuperati diversi materiali ceramici eterogenei,
tra cui frammenti di anfore africane (queste erano fabbricate
principalmente in Tunisia e servivano a trasportavano
olio e grano), di "spatheia" (tipiche anfore
allungate), vasi in ceramica dipinta, tegole, ma anche
parti di muro rivestito da intonaco decorato a fasce
rosse, riscontrati a diversi livelli sovrapposti, la
cui successione stratigrafica "rispecchia in
maniera abbastanza coerente le dinamiche di degrado
degli edifici coperti e la formazione dei relativi depositi".
La zona infatti fu in parte marginalizzata tra il III
e il VI secolo e divenne una sorta di deposito e di
scarico di terreno e materiali di risulta, causando
l'elevazione del livello del piano di calpestio. Lo
dimostra l'innalzamento dell'imboccatura della cisterna,
che non ha mai perso la sua originale funzione, infatti
nel medioevo venne anche provvista di una vasca di decantazione,
di forma rettangolare, rivestita di intonaco bianco
idraulico e dotata di una piccola conchetta sul fondo,
utile alla raccolta del limo depositato.
L'indagine stratigrafica, che ha previsto la rimozione
degli strati di terreno rispettando la successione cronologica,
ha messo in luce una buca realizzata nel Cinquecento,
era una tipica fossa di scarico di vasellame rotto,
all'interno della quale sono state ritrovate ceramiche
monocrome databili dal XIII al XVI secolo. Della stessa
epoca anche alcune strutture murarie, spesse dai 50
ai 60 cm, riscontrate sui lati orientali del cantiere
di scavo: la particolare tecnica costruttiva dei muri,
fatti con pietre di medie dimensioni alternate ad altre
più piccole ed irregolari, ha permesso di attribuire
i resti all'età aragonese. Gli archeologi e gli
studiosi non hanno saputo stabilire con esattezza la
funzione di queste pareti, si ipotizza siano servite
a delimitare, o terrazzare, le aree scoperte, magari
a destinazione agricola, vista la marginalità
dell'area e l'assenza di altre costruzioni.
Area archeologica di via del
Mare nel 2016, si notano i diversi livelli stratigrafici
oggi coperti
Nel XVIII secolo la
zona venne ulteriormente sopraelevata con uno strato
di terreno e una massicciata stradale, probabilmente
quel terrapieno che proteggeva la parte di levante della
città e che vediamo riportato sulle mappe spagnole
dell'epoca. In questo periodo la cisterna venne dotata
di una nuova imboccatura e di una nuova vasca di decantazione
più grande della precedente, sempre rivestita
di intonaco idraulico bianco. Tutti questi rinvenimenti
furono ricoperti nel secolo successivo, quando su questa
superficie venne realizzato un impianto artigianale
per mattoni, confermato dalla presenza di una tipica
fornace.
Area archeologica di via del
Mare, imboccatura della cisterna
Antiche testimonianze
dissimili e complesse, non di facile interpretazione,
sicuramente difficili da preservare nei vari strati
indagati, per questo attualmente sono visibili - parzialmente
- solo alcuni muri individuati nel corso degli scavi,
gli strati inferiori, i più antichi, sono stati
interrati e quindi non più visibili. In tutti
questi anni però è mancata la comunicazione
e la divulgazione dei risultati dell'indagine archeologica,
servirebbe un'apposita cartellonistica utile a promuovere
la conoscenza e il significato di quelle "pietre"
che continuano a rappresentare un mistero per molti,
un valore aggiunto a quanto di buono è stato
fatto in questi anni per migliorare l'aspetto e la fruizione
dell'area, dopo tanti, troppi anni di incuria.
Giovanni Membola
per Il 7 Magazine n.175 del 27/11/2020
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