L’iconografia laurenziana, 
                come ebbe a rilevare Alberto Del Sordo in un suo scritto del 1959, 
                rappresenta molto spesso Lorenzo da Brindisi sul campo di battaglia 
                mentre incoraggia i Cristiani a resistere e a combattere contro 
                l’esercito ottomano, che aveva invaso le terre d’Ungheria. 
                Gli agiografi furono particolarmente colpiti da quel singolare 
                episodio, collocato quasi al centro della vita di Lorenzo e conseguentemente 
                l'eroico cappuccino è rappresento quasi come un generale 
                alla testa del suo esercito che, « Christiani nominis hostes, 
                erecta Cruce, deterret ». La vittoria, della quale Lorenzo 
                da Brindisi era stato protagonista arrise alle forze cristiane 
                e ad Albareale, l’odierna Székesfehérvár, 
                città fortificata nella bassa Ungheria ove s’erano 
                incoronati i sovrani magiari, nell’ottobre del 1601, si 
                ripeteva, dopo 30 anni, il miracolo del 1571 a Lepanto. Quella 
                figura di frate combattente rappresenta, però, soltanto 
                un aspetto della personalità di Lorenzo da Brindisi, che 
                insigni studiosi hanno cercato di mettere in luce. 
              Benedetto Croce ne tracciò un vivido profilo in Vite di 
                servi di Dio di beati e di santi napoletani. “Il venerabile, 
                e poi beato e poi santo, Lorenzo da Brindisi (1559-1619), che 
                fu generale dei cappuccini, [… ] assai avrebbe da raccontare 
                delle faccende politiche che maneggiò in varie parti d'Europa 
                [… ]. Papa Clemente VIII lo mandò, tra l'altro, nel 
                1596, a richiesta dell'imperatore Rodolfo II, con tredici cappuccini 
                a impiantare il loro ordine in Boemia, in Moravia, in Austria, 
                in Ungheria, e a combattere gli eretici e convertirli. Le minacce, 
                i maltrattamenti, le aggressioni, le insidie, che patirono dalla 
                parte avversa, non li trattennero dall'aprire case cappuccine, 
                nonostante che si riuscisse a far sì che venisse meno o 
                vacillasse la protezione a loro promessa dall'imperatore, il quale 
                era infermo di nervi, e perciò impressionabile e mutevole: 
                sicché fu più di una volta sul punto di farli scacciare 
                dai suoi stati. Un astrologo, che era alla corte dell'imperatore, 
                che di astrologia si dilettava, vibrò, al dir del biografo, 
                un grosso colpo, perché, dopo averlo persuaso del pericolo 
                rappresentato da quei frati, scelti dal papa tra i più 
                scaltri per usarli da spioni, dopo avergli rammentato che un frate, 
                Jacques Clément, aveva pur testé assassinato Enrico 
                III di Francia, gli promise di dargli presto una prova della minaccia 
                che gli stava sopra. Fece in effetto dipingere un quadretto con 
                l' immagine dell'imperatore in mezzo a due frati armati di pugnali, 
                e, andato a visitarlo e invitatolo a guardar fiso in uno specchio 
                senza distornar la testa, levò a poco a poco il quadretto 
                dietro le spalle di lui e fece riflettere la scena nello specchio, 
                e l'imperatore vide e sbigottì e mandò subito all'arcivescovo 
                di Praga l'ordine dello scacciamento dei cappuccini, che l'arcivescovo 
                non eseguì preferendo di andar esso via da Praga. Intanto, 
                - narra sempre il biografo, - l'astrologo o astronomo, lieto dell’effetto 
                ottenuto, tornò alla sua casa, che era poco lungi dal convento 
                dei cappuccini, e mangiò di buon appetito; senonchè, 
                subito dopo il pasto, al pari di Giuda, crepuit medius et diffusa 
                sunt omnia viscera eius: terribile castigo del cielo, che salvò 
                i frati e produsse la conversione di un nipote dell'astrologo 
                maledetto. Il quale, nativo, com'e detto, di Danimarca, chiamato 
                presso Rodolfo II e in fama di peritissimo, s'identifica facilmente 
                e sicuramente col gran Tycho Brahe, che del resto altre biografie 
                nominano per espresso. Ma c'è un intoppo alla fanciullesca 
                storiella architettata e propalata: che il fatto sarebbe accaduto 
                ne1 1596 e Tycho Brahe si recò a Praga nel 1599 e colà 
                mori nel 1601, alcuni anni dopo che fra Lorenzo era partito per 
                altri lidi. Poi il nostro frate ricevé invito dall'imperatore 
                a seguire l'esercito, comandato dall'arciduca Mattia, che andava 
                in Ungheria alla guerra contro Maometto III, e ad assistere i 
                soldati cattolici, al che il papa dié il consenso. Erano 
                (racconta il biografo) non più di ventimila gl’imperiali 
                e ottantamila i Turchi; ma, attaccata una grande battaglia, ecco 
                fra Lorenzo che monta a cavallo disarmato, e, precedendo a tutti, 
                vibrava colla sua croce il segno di essa contro le palle delle 
                artiglierie e dei moschetti spiccate dai Turchi a danno dei cristiani, 
                e fu prodigio evidente che que' globi di fuoco o tornarono indietro 
                o morti a mezz'aria non ne penetrò un solo a offender gl'imperiali, 
                li quali nel medesimo tempo facevano con l'armi proprie grande 
                strage dei lor nemici, a segno che di questi ne caddero uccisi 
                sul campo in diverse scaramucce e battaglie da trentamila e dei 
                Cesarei solamente trenta soldati ordinarii, e forse tutti eretici, 
                li quali ricusarono d'invocare il santissimo nome di Gesia conforme 
                al consiglio suggerito ad ognuno dall'uomo di Dio. Questa prodigiosa 
                vittoria, dovuta a fra Lorenzo, sarebbe accaduta ad Albareale, 
                che i Turchi sgombrarono abbandonando tutto il loro bagaglio. 
                Fra Lorenzo non fu mai lasciato da gran principi quietare lungo 
                . tempo nella solitudine dei suoi monasteri; ma, inviato più 
                di una volta da Roma nella Germania, di qua in Ispagna, dalla 
                Spagna fu fatto ripassare in Germania, nella Baviera e in più 
                luoghi d'Italia per collegare o tenere uniti quei potentati a 
                protezione e riparo del mondo cattolico dalla pestilenza dell'eresia, 
                con quanti sudori, strapazzi, affanni della sua vita, Iddio lo 
                sa, ed ognun lo può dedurre dall'aver egli contratto quella 
                gravezza di gotta che lo teneva spesso immobile ,per lungo tempo 
                a letto. Ma molti affari anche trattò, oltre quelli in 
                cui interessi politici e interessi religiosi si mescolavano, e, 
                per esempio, fu l'intermediario della pace tra il duca di Savoia 
                e il governatore di Milano don Pietro di Toledo e persuase il 
                duca di Mantova a restituire un feudo, che ingiustamente deteneva 
                e che spettava a un gentiluomo dell'imperatore Rodolfo. E un negozio 
                politico della città di Napoli fu l'ultimo che trattò 
                e nel corso di esso morì, perché, essendo venuto 
                a Napoli nel 1618 per recarsi a Brindisi, fu fermato dal contrasto 
                che si era acceso tra i nobili, il popolo e il viceré duca 
                di Ossuna e dai nobili inviato a rappresentare la città 
                presso il re Filippo III, con molto dispetto del viceré 
                che avrebbe posto impedimento a quell'ambasceria se il frate non 
                fosse stato da alcuni nobili secretamente trafugato da Napoli 
                e condotto a Genova, dove s'imbarcò per la Spagna. Ma, 
                in Spagna non trovò il re, che si era recato nel Portogallo, 
                ed egli gli tenne dietro a Lisbona, e da lui fu ascoltato in cinque 
                udienze, finché, aggravatasi la sua infermità, mori 
                in quella città nel 1619, a sessant'anni.
              Indirizzi di saluto
                Alfredo Marchello
                Ministro Provinciale Frati Minori Cappuccini di Puglia
              Interventi
                Antonio Mario Caputo
                Centro Studi per la storia dell’Arcidiocesi di Brindisi-Ostuni
              Ruggiero Doronzo ofm cap
                Direttore della Biblioteca dell’Istituto Teologico Santa 
                Fara, Bari
              Vito Petracca
                Latinista. San Cassiano di Lecce
              Conclusioni 
                S.E. Mons.Domenico Caliandro, Arcivescovo di Brindisi - Ostuni
              Coordina e introduce i lavori
                Giacomo Carito
                Responsabile Cattedra Laurenziana, Brindisi
              Sarà presente l’autore del volume, edito in occasione 
                del 90. anniversario della titolazione della Provincia dei cappuccini 
                di Puglia a s. Lorenzo da Brindisi (1926-2016), Alfredo Di Napoli 
                ofm cap. In apertura dei lavori Giancarlo Cafiero (Società 
                di Storia Patria per la Puglia) darà lettura dei versi 
                composti da Pasquale Camassa in onore di san Lorenzo da Brindisi.
              Organizzazione: 
                Arcidiocesi di Brindisi-Ostuni.Cattedra Laurenziana
                Società di Storia Patria per la Puglia. Sezione di Brindisi
                Aderisce all'iniziativa l'associazione "San Lorenzo da Brindisi".