.:. DOCUMENTI

Marianna Saccente
I Granafei per la chiesa di S. Benedetto di Brindisi:
le cartegloria di argento e la cultura napoletana

La famiglia Granafei [1], secondo le fonti, giunge a Brindisi da Costantinopoli intorno agli inizi del XVI secolo. Il capostipite era negoziante di grano, da cui deriva appunto il cognome grana fert che allude alle tre spighe di grano portate nella zampa del leone rappresentato sul loro stemma. Ad avallare queste teorie esiste un atto notarile rogato dal notaio Pasquale Giaconelli nel 1790 (conservato presso l’Archivio di Stato di Brindisi e da me ritrovato) nel quale si parla della storia della famiglia Granafei nonché dell’Inventario di tutti gli oggetti sacri esistenti nella chiesa dei Padri Domenicani di Brindisi.
Ma tornando alla storia della nostra famiglia il primo componente citato dalle fonti [2] è Nicola il quale si sarebbe trasferito a Brindisi dopo l’infeudazione di Oria ai Bonifacio, dunque dopo il 1508, presumibilmente per accedere ai vantaggi provenienti dal complesso dei “benefici dei brindisini” voluti da Ferdinando d’Aragona e in seguito confermati dai veneziani e spagnoli per favorire il ripopolamento della città.
L’ascesa della famiglia a Brindisi fu molto rapida: Nicola è sindaco nel 1534 e nel 1545. Nella seconda metà del XVI secolo gli investimenti dei Granafei sono concentrati nel settore fondiario con acquisizioni significative nell’agro di Brindisi, poste ai confini con i feudi di Mesagne e Carovigno. I simboli del potere della famiglia sono rappresentati: dal Palazzo (la cui esistenza è documentata già al 1565 nelle relazioni di una santa visita), dalle numerose masserie e si completano con la cappella maggiore chiamata Tribuna eretta nella chiesa della Maddalena a Brindisi.
Tra il XVI e il XVII secolo acquisiscono il titolo di marchesi, infatti le fonti [3] indicano un altro discendente di Nicola, Giovanni, nato nel 1603 da Scipione e Orsola Salimento “della nobilissima famiglia Granafei de’ Marchesi di Carovigno” [4]. Questi entrò a far parte del clero brindisino e quando Fabio Chigi (vescovo di Nardò) fu eletto papa col nome di Alessandro VII, consapevole delle qualità di Giovanni, lo nominò vescovo di Alessano (dal 1653 al 1666). A novembre del 1666 fu nominato arcivescovo di Bari (la sua nomina durò fino al 1683). Nel 1676 pubblicò a Venezia le Costitutiones Diocesanae in cui sono gli atti del sinodo che aveva celebrato l’anno prima a Bari. Qui evidenziò subito il suo interesse per l’arte tanto da commissionare lampade e arredi sacri per la Cattedrale nonché il prezioso busto argenteo di S. Sabino [5] (fig. 1). La statua rappresenta il santo in atto di benedire con la mano destra mentre con la sinistra regge il pastorale. Le mani e il volto sono realizzati a fusione (da un modello in creta) per evidenziarne i dettagli naturalistici (le vene, i segni nel palmo della mano, i solchi della barba). Mentre il resto del busto è realizzato in argento sbalzato secondo la tecnica argentiera del tempo. Il tutto è impiantato su una ricca base ottagonale decorata da un gioco simmetrico di fiori tra volute e puttini angolari. Sempre sulla base (lato destro) c’è una plachetta con lo stemma dell’arcivescovo Giovanni Granafei (il leone rampante con le tre spighe), mentre su quella frontale c’è l’iscrizione dedicatoria: “IOES GRANAFEUS ARCHIEPISCOPUS BAREN ET CANOSINUS FIERI F. 1674”. L’argentiere che ha realizzato il busto è Andrea Finelli, come da un atto notarile stipulato a Napoli il 18 giugno 1674 e ritrovato dalla prof. Pasculli nel 1991, la quale ha trovato anche le iniziali dell’argentiere AF alla base della mitra del santo.
La committenza ecclesiastica dei Granafei è presente anche a Brindisi nella chiesa di S. Benedetto. La chiesa fondata nel 1089 aveva un monastero annesso retto da monache benedettine. Nel ‘700 una badessa della nobile famiglia Granafei era a capo del monastero e ritengo che probabilmente fu la committente delle preziose cartegloria d’argento custodite nella chiesa di S. Benedetto. Queste cartegloria, inedite, sono state oggetto di un mio studio e ho potuto rilevare i maestri argentieri che le hanno realizzate.
La più grande (fig. 2) è di forma esagonale poggiante su piedi a volute e terminazioni lisce sulle quali sono riscontrabili i punzoni che la identificano (piede destro). E' caratterizzata da una serie di volute sbalzate che culminano con una conchiglia, che è un elemento tipicamente barocco, e una piccola coroncina apicale che fa da raccordo all'intera composizione. (fig. 3) Lo stemma della famiglia Granafei è posto perpendicolare alla conchiglia. Esso è circondato da volute a sbalzo è sormontato da una corona e al suo interno è chiaramente identificabile un leone rampante con tre spighe di grano nelle zampe anteriori, la decorazione è eseguita a incisione. Tra le volute a sbalzo ci sono piccolissime decorazioni a squame cesellate che creano forte contrasto tra luce e ombra rendendo la composizione altamente plastica e pittorica insieme.
(fig. 4) Sono stati individuati tre punzoni posti sul piede destro della cartagloria. Il primo è stato da me identificato come lo stemma consolare che, nonostante presenti un'abrasione nella parte superiore che non consente di leggerne la prima lettera, è composto dalle lettere DBC separate da puntini e poste a triangolo rovesciato. Questo bollo dovrebbe riferirsi al console Domenico de Blasio (console negli anni 1725, 1728, 1733, come rilevato dall'archivio di Stato di Napoli). Il suo bollo è stato trovato dagli studiosi Catello su un reliquiario, da lui stesso eseguito, appartenente alla chiesa di S. Angelo a Nilo, Napoli (ed ora conservato nel convento di S. Lorenzo Maggiore) e su alcuni oggetti di uso profano in raccolta privata. Il secondo bollo è composto dalle lettere ADR disposte a piramide e separate da puntini. Il bollo è da me identificato con l'argentiere Antonio de Rosa, il cui punzone è stato scoperto dai Catello [6] su un servizio per scrivere marcato NAP 751 e può assegnarsi con tutta probabilità al maestro del quale si hanno notizie d'archivio per questi anni. Il terzo punzone è NAP 733 e indica che l'oggetto è stato realizzato a Napoli nel 1733. Sul lato destro dei punzoni c'è la saggiatura dell'argento (costituita da una doppia zigrinatura) eseguita a Napoli per constatare la reale percentuale di argento utilizzata per la realizzazione dell'oggetto; ciò garantiva l’alta qualità dello stesso.
La prammatica LVII “De Monetis” emanata il 19 agosto 1690 dal viceré conte di S. Estevan (e in vigore fino all’abolizione delle corporazioni degli orefici volute da Gioacchino Murat nel 1808), segnò una tappa importante nelle vicende della punzonatura degli argenti napoletani. Nella prammatica si legge che “i lavori devono essere di once 10 d’argento di coppella e once 2 di lega per ogni libra e debbano quei marcarsi con tre marchi cioè uno con nome e cognome dell’argentiere che fa il lavoro, l’altro del console di quell’anno nel quale si è fatto detto lavoro, e l’altro della Strada degli Orefici, contenente una corona e sotto di essa il millesimo, i quali marchi si dovranno fare in presenza e bottega del console annuale”. (fig. 5)
A partire dall’anno 1700 e per tutta la durata del bollo corporativo, le iniziali della città vengono rappresentate dalle prime tre lettere e il millesimo dalle ultime tre cifre o, meno frequentemente, è segnato per intero. Anche il disegno della corona (specialmente nei suoi 5 elementi terminali) varia spesso, e ciò non solo in punzoni di anni diversi ma anche in quelli di uno stesso anno [7].
Le due cartegloria piccole (fig. 6) sono di forma pentagonale poggiante su piedi a volute e terminazioni lisce, sulle quali è riscontrabile il punzone che le identifica (piede sinistro). Sono caratterizzate da una serie di volute sbalzate e "riccioli" che ricordano le decorazioni marmoree di Domenico Antonio Vaccaro (cfr. gli altari laterali della chiesa di S. Giacomo a Bari). Tra le volute a sbalzo ci sono piccolissime decorazioni cesellate che creano forte contrasto tra luce e ombra, rendendo la composizione plastica e pittorica.
(fig. 7) E' stato da me individuato un unico punzone ripetuto tre volte sul piede sinistro delle cartegloria. E' composto da tre lettere D.A C e tra la D e la A c'è un piccolo giglio stilizzato. E' il bollo del console Diodato Avitabile [8] che esercitò la sua attività nel 1735 e nel 1741. Il suo bollo è stato trovato, per il primo anno, sul reliquiario di Santo Stefano nella Cattedrale di Caiazzo. Il punzone consolare del maestro riappare poi sulle grandi torciere lavorate da Filippo del Giudice nel 1744 per la cappella del Tesoro di S. Gennaro, e su una navicella in raccolta privata recante il camerale del 1751.
La realizzazione di questi preziosi manufatti nonché la loro peculiarità rispecchiano appieno la cultura napoletana del ‘700 che si diffonde in tutto il Regno di Napoli a testimonianza dei continui rapporti economici e culturali tra la “provincia” e la capitale.

[1] La presente relazione è un abstract del saggio pubblicato negli Atti della “Giornata di studio per la Puglia” (Bari, 25 maggio 2007), Schena Editore, in corso di stampa
[2]
G. Carito, Brindisi. Nuova Guida, Edizioni Prima, Oria 1993
[3] P. Camassa, Guida di Brindisi, Brindisi 1897
[4] R. Jurlaro, Storia e cultura dei monumenti brindisini, Brindisi 1976
[5] M. Pasculli Ferrara, Due patroni per la città di Bari: il San Sabino di Andrea Finelli (1674) e il San Nicola di Giovanni Corsi (1794), in C. G. Argan, Storia dell’Arte, n. 71, La nuova Italia Editrice, Roma 1991
[6] E. e C. Catello, I marchi dell’argenteria napoletana dal XV al XIX secolo, Franco Di Mauro Editore, Napoli 1996
[7] E. e C. Catello, Argenti napoletani dal XVI al XIX secolo, Edizioni d’Arte Giannini, Napoli 1973
[8] Idem

clicca sulle immagini per ingrandirle
(1)
(2)
(3)
(4)
(5)
(6)
(7)

Foto ed immagini:
nel testo dall'alto vesrso il basso: Esterno; l'interno; il Portale
1: Bari. Museo della Cattedrale, Busto argenteo di S. Sabino di Andrea Finelli 1733
2: Brindisi. Chiesa di S. Benedetto, Cartagloria in argento di Antonio de Rosa 1733
3: Brindisi. Chiesa di S. Benedetto, Cartagloria in argento di Antonio de Rosa 1733, particolare
4: Brindisi. Chiesa di S. Benedetto, Cartagloria in argento di Antonio de Rosa 1733, particolare dei punzoni
5: Bolli Corporativi
6: Brindisi. Chiesa di S. Benedetto, Cartagloria in argento di Diodato Avitabil
7: Brindisi. Chiesa di S. Benedetto, Cartagloria in argento di Diodato Avitabile, particolare dei punzoni

Relazione presentata il 25 maggio 2007 in occasione della Giornata di Studio sulla Puglia

Non è consentito l'utilizzo non autorizzato delle immagini e dei testi

<- indietro