L'ufficio
dell'economo diocesano trova preciso riferimento
nel codice di diritto canonico (II, 2, 2, 3, 2).
Se ne riprendono qui i passi più significativi:
Articolo 3 - Il consiglio per gli affari economici
e l'economo
Can. 492 - §1. In ogni diocesi venga costituito
il consiglio per gli affari economici, presieduto
dallo stesso Vescovo diocesano o da un suo delegato;
esso è composto da almeno tre fedeli, veramente
esperti in economia e nel diritto civile ed eminenti
per integrità; essi sono nominati dal Vescovo.
Can. 493 - Oltre ai compiti ad esso affidati nel
Libro V I beni temporali della Chiesa, spetta
al consiglio per gli affari economici predisporre
ogni anno, secondo le indicazioni del Vescovo
diocesano, il bilancio preventivo delle questue
e delle elargizioni per l'anno seguente in riferimento
alla gestione generale della diocesi e inoltre
approvare, alla fine dell'anno, il bilancio delle
entrate e delle uscite.
Can. 494 - §1. In ogni diocesi, dopo aver
sentito il collegio dei consultori e il consiglio
per gli affari economici, il Vescovo nomini un
economo; egli sia veramente esperto in economia
e distinto per onestà.
§2. L'economo sia nominato per un quinquennio,
però, scaduto tale periodo, può
essere ancora nominato per altri quinquenni; mentre
è in carica, il Vescovo non lo rimuova
se non per grave causa, da valutarsi dopo aver
sentito il collegio dei consultori e il consiglio
per gli affari economici.
§3. È compito dell'economo, secondo
le modalità definite dal consiglio per
gli affari economici, amministrare i beni della
diocesi sotto l'autorità del Vescovo, fare
sulla base delle entrate stabili della diocesi
le spese che il Vescovo o altri da lui legittimamente
incaricati abbiano ordinato.
§4. Nel corso dell'anno l'economo deve presentare
al consiglio per gli affari economici il bilancio
delle entrate e delle uscite.
Altri riferimenti sono nel codice nei canoni seguenti:
Can. 1276 - §1. Spetta all'Ordinario di vigilare
con cura sulla amministrazione di tutti i beni
appartenenti alle persone giuridiche pubbliche
a lui soggette, salvo titoli legittimi per i quali
gli si riconoscano più ampi diritti.
Can. 1278 - Oltre ai compiti di cui al can. 494,
§§3 e 4, all'economo possono essere
affidati dal Vescovo diocesano i compiti di cui
ai cann. 1276, §1 e 1279, §2.
Can. 1279 - §2. Per l'amministrazione dei
beni di una persona giuridica pubblica che dal
diritto o dalle tavole di fondazione o dai suoi
statuti non abbia amministratori propri, l'Ordinario
cui la medesima è soggetta assuma per un
triennio persone idonee; le medesime possono essere
dall'Ordinario riconfermate nell'incarico.
Almeno in parte le entrate stabili della diocesi
discendono da quella che si definiva mensa arcivescovile
ossia il complesso dei beni ecclesiastici destinati
al sostentamento del vescovo e dei suoi familiari.
La storia della formazione della cosiddetta mensa
è connessa con l'evoluzione del beneficio
ecclesiastico.
La proprietà ecclesiastica si costituì
intorno alla chiesa cattedrale; il vescovo quale
capo del clero era l'amministratore diretto di
quanto doveva servire alla beneficenza, al mantenimento
del clero, ai bisogni della comunità, agli
edifici di culto e di abitazione. Lo assistevano
in questo compito i diaconi e gli ufficiali che,
secondo l'importanza della sede, erano necessari
per gli atti pubblici e privati. Sin da principio
fu adottata una prescrizione comune per la quale
i redditi di questa proprietà collettiva
venivano divisi in quattro parti: per il vescovo,
per il clero, per i poveri, per la fabbrica e
manutenzione degli edifici ecclesiastici. In seguito,
in seno al patrimonio comune della Chiesa, si
ebbe la divisione di quella parte che doveva rimanere
ad esclusivo godimento del vescovo, da quella
che fu attribuita al clero della Cattedrale. Tali
mutamenti di costituzione si verificarono in tempi
diversi e sotto influenze reciproche da luogo
a luogo; ma in ogni modo vescovo e clero cattedrale
ebbero interessi e amministrazione distinta, con
propria personalità giuridica e propri
regolamenti.
Il vescovo aveva il diritto di percepire i redditi
della mensa dal giorno in cui prendeva possesso
della diocesi, diritto che era inerente al suo
ufficio. Negli smembramenti dei benefici è
stato proibito unire un beneficio parrocchiale
alla m.v. per evitare inutili contrasti con l'ordinario.
Circa l'amministrazione di questi beni il vecchio
codice di diritto canonico disponeva:
- Che siano diligentemente amministrati dal vescovo
- Per sua natura questa amministrazione comporta
l'onere di conservare in buono stato la casa vescovile,
eccetto il caso che quello spetti ad altre persone
o enti
- Per evitare la confusione dei beni il vescovo
deve redigere un accurato inventario in cui vengano
enumerati gli utensili e i beni mobili che sono
nell'episcopio e che appartengono alla .v. e curare
che il documento venga integralmente e sicuramente
trasmesso al successore.
Le cause relative alla mensa, riguardo ai beni,
erano deferite, con il consenso del vescovo, al
tribunale diocesano. La rappresentanza in giudizio
spettava al vescovo che aveva l'obbligo di nominarsi
un procuratore.
Il Concordato Lateranense dispose che nel caso
di riduzione delle diocesi non fossero ridotte
le risorse economiche di esse, senza alcuna eccezione
per gli assegni statali. Per l'art. 30 si escluse
l'obbligo della conversione per i patrimoni ecclesiastici
e quindi anche per le mense vescovili.
Nel 1934, per disposizione dell'arcivescovo mons.
Tommaso Valeri, fu affidata l'amministrazione
della mensa arcivescovile di Brindisi all'ufficio
diocesano di amministrazione, erede dell'amministrazione
diocesana cui, dal secolo precedente, era stata
commessa la gestione, divenuta centralizzata dei
benefici. Dall'ufficio diocesano di amministrazione
discende l'attuale ufficio dell'economo.
|