.:. CHIESE

GRAFFITI SULLA BASILICA DEL CARMINE
Mesagne

Scoprimmo questi graffiti insieme con padre Anselmo Leopardi quando per fare i suoi volumetti monografici sulla storia di Mesagne, mi chiedeva la collaborazione fotografica.
Sono tre, e rappresentano:
a) – Il Fiore della Vita;
b) – La Triplice cinta;
c) – La scala.
Ne daremo la descrizione e contemporaneamente la loro spiegazione simbolica.
Data la materia trattata, faremo questa breve premessa per dire che ci muoveremo nella linea trattata dai seguenti autori: Mircea Eliade, Henry Corbin, Elémire Zolla, il pensiero junghiano.
Avremo come riferimento tutto il pubblicato dal Centro Studi Mythos di Roma con la sua rivista àtopon diretta da Gilbert Durand, Julien Ries e Maria Pia Rosati che ha trattato di Psicoantropologia simbolica e Tradizioni religiose.
Ci avvarremo di quanto Pavel Florenskij ci ha tramandato con il suo libro Le porte regali, saggi sull’icona.
E non certamente ultimo San Giovanni della Croce (carmelitano) che nella sua opera La Salita al Monte Carmelo, ci fa capire che quando si parla del sacro, o si è sullo stesso piano spirituale del comunicatore, si posseggono i suoi stessi codici simbolici, o la comunicazione non avviene.Premesso questo, passiamo a dire che ogni esperienza del sacro è esprimibile solo in forma simbolica.
Anche l’ architettura religiosa in quanto espressione del macrocosmo celeste, richiede, anzi esige, una iniziazione. Essa pretende dai suoi ideatori, dai suoi maestri costruttori l’acquisizione di quella che in termini iniziatici viene detta Mano di gloria, intendendosi con tale termine una contemporanea destrezza manuale ed una Conoscenza istintiva, quasi simbiotica, della materia trattata.
Occorre inoltre possedere un minimo di nozioni affinché da questa materia così trattata emani un flusso di tensioni che possa far dire a colui che ne viene in contatto, di trovarsi di fronte ad un’ opera che trasmette l’ idea di un elemento vivente.
Tenendo presente che il simbolo dice molto di più di quello che mostra, o che rappresenta, l’osservatore deve avere – se il manufatto è stato costruito con quanto abbiamo detto prima – la percezione che su di lui operino tutti i flussi di tensioni di cui questi è stato caricato; deve avere la percezione di trovarsi di fronte a quella che Florenskij chiama Porta regale. Se l’idea trasmessa è viva, la porta deve mettere in comunicazione due mondi: il nostro, visibile, e quello dei significati nascosti, invisibili che esso simbolo, esprime.
Se questo avviene, i due mondi si toccano e sentiamo un alito che non è di quaggiù. Ed ecco perché si diceva che quando uno entrava nella Cattedrale di Chartres, quando ne usciva non era più la stessa persona.
Siamo coscienti che il numero di persone, anche del mestiere, capaci di giungere a questo livello di iniziazione, è chiaramente limitato.
Pensiamo a loro come a degli uomini di Buona volontà, che vollero trarre l’uomo fuori dalle barbarie, o quantomeno tentarono di tracciare le basi di quella che oggi definiremmo una Missione sociale :nutrire gli uomini, approntare in loro favore uno strumento di evoluzione spirituale, coscienti che senza di questo l’uomo altro non è che un animale eretto.

Passiamo alla descrizione del 1° simbolo: si tratta di SEI PETALI INSCRITTI IN UN CERCHIO.
Viene detto Fiore della vita, o Fiore del Tempio oppure Rosetta dei templari.
La sapienza ebraica lo associò all’albero della conoscenza del Paradiso terrestre.
Incrociando i primi due cerchi che lo formano, si ottiene quella che comunemente viene detta Mandorla Mistica, nella quale viene collocato il Dio Pantocratore.
Il Cristianesimo ha adottato questo segno e partendo dalla sua forma base e ruotandolo di sei sfere, ha voluto rappresentare i Sei giorni della Creazione, facendolo diventare un simbolo in movimento rappresentante la potenza creatrice.
È presente sulle facciate di molte chiese dove ha assunto la forma dell’albero di Jesse o della Rosa Mistica.
Quando l’arte gotica rappresentò questo segno, lo usò per trasmettere la conoscenza della grande opera alchemica. Infatti se veniva rappresentato per esempio in un transetto dove non veniva colpito dai raggi del sole, la figura era di colore nero; se come nel caso della nostra Chiesa, esso riceve la luce dei raggi del sole al tramonto, il colore con cui veniva rappresentato, era il rosso.
Rendendo così evidente due colori fondamentali di tale processo, la Nigredo e la Rubedo.
Pertanto l’ignoto autore che lo ha rappresentato doveva conoscere i canoni della tradizione che si esprime sempre con l’aiuto dei simboli la cui interpretazione doveva essere riservata ai soli iniziati.

Passiamo alla descrizione del secondo simbolo: TRE QUADRATI CONCENTRICI ATTRAVERSATI DAI QUATTRO BRACCI DELLA CROCE.
Possono essere anche tre cerchi concentrici, la valenza non cambia.
È chiamata Triplice cinta oppure Griglia del filetto.
Può rappresentare i Tre livelli iniziatici, sempre più esclusivi a partire dall’ esterno fino al centro che è raggiungibile attraverso la quattro vie rappresentate dai bracci della croce che l’attraversa.
L’ autore che lo ha studiato in modo esauriente, è un abate francese degli inizi del 1900: Louis Charbonneau-Lassay che nel suo libro Le pietre misteriose del Cristo, ci tramanda quanto segue: “Il Cristianesimo creò molti di questi emblemi quando adottò ai suoi costumi i simboli dei culti che lo avevano preceduto.
Ed anche nell’ ambiente della società cattolica del medioevo, la vita di ogni organismo sociale era basata su iniziazioni progressive, caratterizzate ad ogni livello, da cerimonie rituali; pensiamo per es. al Sacerdozio, al Monachesimo, agli Ordini Cavallereschi, ecc.” Pertanto, questo segno era inteso come un ideogramma che portava alla redenzione nel piano universale.
Abbiamo visto che il primo simbolo era Creativo; questo secondo è di Redenzione.
Per superare la Prima Cinta, bisogna escludere – nel senso di lasciare fuori l’errore, l’egoismo, l’ignoranza.
Per superare la Seconda Cinta, il compito è più difficile in quanto comprende due sottogruppi: il primo è sempre di esclusione di impedimenti quali l’avidità, la tristezza, la malinconia, e solo dopo questo cammino di purezza aiutati dal secondo sottogruppo acquisiremo il sapere, la volontà la fiducia e la pazienza, avendo finalmente accesso.
All’ultima Terza Cinta dove incontreremo la Verità, la Forza, la Temperanza, ma anche la Dolcezza.
E l’Autore continua dicendo che la Prima Cinta è la Giovinezza, la Seconda è l’Età matura e la Terza è la Vecchiaia. La Vita se ne va restringendosi finchè l’ Anima non si liberi dalla sua guaina carnale.
Essendo, come abbiamo visto, un segno di Redenzione, i primi cristiani lo associarono all’immagine della Gerusalemme celeste, in quanto tenevano ben presente molto meglio di noi che il Mondo Divino può meglio adattarsi a tutte le forme tracciate regolarmente.

E passiamo al 3° simbolo. LA SCALA.
Nel nostro caso è rappresentata da gradini tracciati in modo disuguale.
Quando pensiamo alla Scale, il nostro pensiero ci riporta al racconto della Genesi del sogno di Giacobbe: “… Si fermò in un luogo per pernottare, prese una pietra, la usò come cuscino e si addormentò. Sognò una Scala appoggiata sulla terra e la cima raggiungeva il cielo. Angeli vi scendevano e vi salivano e il Signore standogli di fronte gli parlò.”
Quando la mattina dopo Giacobbe si svegliò compì alcune operazioni e pronunciò una frase.
Per prima cosa unse con dell’olio la pietra su cui aveva dormito come a volerla consacrare, come si fa con un altare che è il centro di una chiesa; nelle abitazione questo dovrebbe essere il focolare, ma oramai sono così rari.
La frase che pronunciò (noi la conosciamo in latino), fu la seguente: Terribilis est locus iste, hic domus dei est et Janua coeli (Quanto è terribile questo luogo! Questa è proprio la casa di dio, questa è la porta del cielo).
Cambiò anche il nome, prima si chiamava Luz, da quel momento si sarebbe chiamato Beth-El (Casa del Signore), da cui sarebbe derivato Bethelhem.
La scala rappresenta anche l’asse dell’universo perché su di esso si effettua un perpetuo movimento ascendente e discendente; si compie così la destinazione essenziale della scala.
I suoi due montanti corrispondono alla dualità dell’albero della scienza, e la colonna di mezzo –formata dai gradini – è l’asse vero e proprio: l’intera scala nel suo complesso, unificata dai pioli che congiungono i due montanti, offre così un simbolismo completo.
Si può dire che è come un ponte che si eleva attraverso i mondi e permette di percorrere l’intera gerarchia passando di piolo in piolo, i diversi livelli o gradi della conoscenza.
Idealmente è una scala doppia per il fatto che alla salita deve seguire una discesa. Si sale percorrendo i pioli delle scienze (o conoscenza) e si ridiscendono i pioli delle virtù, ossia i frutti che questa conoscenza ha prodotto.
Il racconto della visione di Ezechiele ci permette di aggiungere altri fondamentali particolari. Ci dice che oltre a Beth El, andrebbe aggiunta anche la parola Penvel in quanto Giacobbe ha visto il volto di
Dio eppure ha conservato la vita.
Sappiamo dalla dottrina ebraica che Dio non lasciava in vita chi avesse contemplato il suo volto, pertanto, aggiunge Ezechiele, se Giacobbe ne è potuto uscire salvo, non ha scorto il suo volto, bensì l’aspetto di Dio riflesso nell’uomo spirituale.
Ricordiamo a tale proposito l’episodio di Mosè del roveto ardente, quando capì di trovarsi al cospetto di Dio, ossia in un luogo divino, per non subire danni, tenne teso un telo tra se ed il roveto.
Capiamo adesso il significato del gesto che fanno le nostre mamme e le nostre nonne quando prima di entrare in chiesa – che è un luogo divino – si coprono il capo con un velo; e possiamo anche comprendere in questo modo il significato espresso in alcuni quadri dal gesto della Vergine Maria che al momento dell’ annunciazione divina da parte dell’ arcangelo Gabriele, si copre il volto col velo che ha in testa.
Ed Ezechiele continua ancora dicendoci: nessuno è salito al cielo se non colui che vi è disceso.
Il riferimento è chiaro, come pure l’insegnamento: è soprannaturale il salire, ma anche il discendere.

Passiamo, adesso a fare delle ipotesi su chi abbia potuto fare i tre simboli esaminati, ed in quale periodo.
Naturalmente mancando una documentazione al riguardo quelle che faremo restano soltanto ipotesi con ampio margine di attribuzione.
Essendo simboli usati dai Cavalieri Templari la prima attribuzione che ci viene è che sia stato uno di loro a farli, anche se non materialmente.
Dobbiamo tenere però presente che c’era anche qualcun altro che poteva farli avendone cultura, iniziazione e l’abito.
Renè Guenon, nel suo libro Considerazioni sulla via iniziatica, ci fa sapere che l’Ordine carmelitano stabilitosi in Terra Santa, aveva una Iniziazione simile a quella dei Cavalieri del Tempio. Le conseguenti conoscenze, i rapporti e gli scambi culturali l’avranno tenuta viva.
Il primo manipolo di frati carmelitani arrivò in Terrasanta al seguito delle Terza crociata, quella di Federico Barbarossa – 1188/1192 -. Costruirono il loro monastero tra i contrafforti del Monte Carmelo e vi rimasero fino a quando Saladino espugnò Gerusalemme e di conseguenza furono esposti alle incursioni dei musulmani. Lasciarono definitivamente il monastero nell’anno 1235 e tornarono nelle lo Case europee.
Questo per quanto riguarda i Carmelitani.
Se invece fu un Cavaliere templare, dobbiamo tenere presente che solo un ristretto gruppo di iniziati aveva le conoscenze per poterli fare.
Ho una preferenze per l’attribuzione ad uno di essi per due motivi: il primo è che non dobbiamo dimenticare che allora l’edificio sacro era dedicato al culto di S. Michele arcangelo, loro protettore; e poi perché hanno avuto più tempo per poterli fare, ed erano anche più numerosi dei frati carmelitani. Si pensi a quanti ne sono passati dal porto di Brindisi mentre si imbarcavano per le Crociate.
Circa gli anni, possiamo solo dire che secondo Guglielmo di Tiro, l’ Ordine dei Poveri Cavalieri di Cristo fu fondato nel 1118 anche se il loro riconoscimento ufficiale avvenne nel gennaio dell’anno 1128 con il Concilio di Troyes, voluto dal Cistercense Bernardo di Chiaravalle che ne dettò la regola. Il rientro definitivo in Occidente, avvenne a seguito dalla caduta dell’ultima roccaforte del Regno latino d’oltremare, San Giovanni d’Acri, nell’anno 1291.
Il secondo motivo è dettato dal desiderio di rendere un pensiero per quanto quest’ordine ha sofferto, specialmente con la persecuzione sistematica operata dal Re Filippo IV di Francia, detto Filippo il Bello che catturò i Templari di Francia nel triste giorno di venerdì 13 ottobre 1307 e successivamente e definitivamente estinse l’Ordine mettendo al rogo sull’isola di Francia nel 1314 l’ultimo Gran Maestro del Tempio, Giacomo de Molay.

Ricerca condotta da Antonio Pasimeni, con la collaborazione del proprio figlio Raimondo.

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