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ANTONIO PASIMENI
SU UNA RAPPRESENTAZIONE DI UN SACRO CANDELABRO EBRAICO IN MESAGNE


Durante i lavori di restauro effettuati in occasione dell’ultimo sacro giubileo interessanti la chiesa della Madonna della Misericordia in territorio di Mesagne, collaboravo con il sacerdote Francesco Campana nella raccolta di materiale fotografico e di archivio.
Il lavoro conclusivo della ricerca: La Madonna della Misericordia - Santuario del Capitolo e del Popolo di Mesagne, vide la luce nell'anno 2002 per i tipi della Neografica di Latiano. Nel testo due immagini rimandano a una lastra di pietra, in parte mutila, ritrovata durante i lavori di ristrutturazione nei locali adiacenti al lato est della chiesa [1]. A un’attenta osservazione le due immagini rivelano dettagli di grande interesse, interpretabili attraverso indizi che potrebbero considerarsi rivelatori di un’affascinante ipotesi.
La lastra in oggetto, di forma pentagonale, è collocata, con la parte terminante a punta, su un largo mattone con funzione di base; nella parte superiore è fissata, con un chiodo, a parete. Chi ha preferito questa soluzione ha ritenuto che sulla lastra fosse stata scolpita una pianta con alcune foglie, forse anche dei fiori, con radici pulite ben esposte in evidenza.
Capovolgendo l’immagine si nota come la base divenga più regolare. Ha un abbozzo di terreno su cui poggia in modo stabile quello che è stato interpretato come un fiore; la sua base porosa o bucherellata è inglobata da uno stelo a forma di Y capovolto che va a collegarsi, unitamente ad altri due elementi che non toccano la base, a un rettangolo che a sua volta sostiene una lastra dalla quale si dipartono nove braccia. Tutta la figura è ora iscritta in un triangolo i cui lati unendosi in punta costringono le braccia a restringersi a loro volta, seguendone i contorni e assumendo tale conformazione.
Si può formulare l’ipotesi che ci si trovi di fronte alla rappresentazione di un candelabro ebraico a nove braccia, a differenza della menorah sinagogale a sette braccia, detto chanukiah acceso durante la festa di Hanukkah, festa della Dedicazione o delle Luci.
Busi rileva:

"La Bibbia narra che Salomone, assieme agli altri arredi del Santuario, fece fare… i candelieri d'oro finissimo, cinque a destra e cinque a sinistra, dinanzi al Santuario, i fiori, le lampade, gli smoccolatoi d’oro (1Re 7,49). Il passo parallelo del libro delle Cronache, non nomina alcun dettaglio circa la loro realizzazione ma afferma genericamente. Nel 587 (o 586) a.C. il primo Santuario fu demolito ad opera dei babilonesi che avevano preso Gerusalemme e sconfitto il re Sedecia. Verso la fine dello stesso secolo, dopo che i persiani erano subentrati ai babilonesi, si era potuta intraprendere, pur tra sospetti e difficoltà, la ricostruzione del Tempio; fu allora che il profeta Zaccaria introdusse il candelabro in una delle sue visioni, offrendone una complessa interpretazione che combinava elementi del primitivo simbolismo vegetale con spunti astrali e con una allegoria di carattere storico” [2].

Zaccaria narra:

L'angelo che mi parlava venne a destarmi, come si desta uno dal sonno, e mi disse: "Che cosa vedi?". Risposi: "Vedo un candelabro tutto d'oro; in cima ha un recipiente con sette lucerne e sette beccucci per le lucerne. Due olivi gli stanno vicino, uno a destra e uno a sinistra" [3].

L’angelo spiega la visione:

Le sette lucerne rappresentano gli occhi del Signore che scrutano tutta la terra". Quindi gli domandai: "Che significano quei due olivi a destra e a sinistra del candelabro? E quelle due ciocche d'olivo che stillano oro dentro i due canaletti d'oro?". Mi rispose: "Non comprendi dunque il significato di queste cose?". E io: "No, signor mio". "Questi, soggiunse, sono i due consacrati che assistono il dominatore di tutta la terra" [4].

Nel secondo Santuario si usò, forse, un’unica menorah, sebbene la documentazione letteraria a questo proposito sia tardiva e non sempre omogenea. Di un solo esemplare si parla nel primo libro dei Maccabei:

Poi presero pietre grezze secondo la legge ed edificarono un altare nuovo come quello di prima;
restaurarono il santuario e consacrarono l'interno del tempio e i cortili; rifecero gli arredi sacri e collocarono il candelabro e l'altare degli incensi e la tavola nel tempio.
Poi bruciarono incenso sull'altare e accesero sul candelabro le lampade che splendettero nel tempio [5].

L’esegesi rabbinica insisté sul carattere unico e inimitabile del candelabro usato nel Tempio, che non doveva essere in alcun modo replicato. Questa interpretazione, avviata in età tardo antica, e l'esclusione della menorah dalla liturgia sinagogale e domestica, spiega probabilmente la relativa rarità di lampade a sette braccia tra i manufatti ebraici e il prevalere dell'oggetto in raffigurazioni bidimensionali di carattere puramente simbolico. Nel corso dei secoli, alcuni dei significati propri della menorah del Tempio, furono trasferiti in due oggetti di largo impiego nella consuetudine religiosa giudaica: la lampada accesa nell’occasione della festa di Hanukkah e il ner temid.

Nel corso della festa, memoria della riconsacrazione del Tempio occorsa il 164 a.C., è abitudine accendere ogni giorno uno dei lumi del candelabro composto di otto luci, più solitamente una nona, detta shamash, che serve per recare la fiamma alle altre. Quest'uso è attestato almeno dalla fine del I secolo e sarebbe derivato dal prodigio avvenuto al momento della riconquista del Tempio da parte delle truppe degli Asmonei: i soldati ebrei giunti nel Santuario, avrebbero trovato una minima quantità di olio bastante per illuminare la menorah solo per un giorno. Grazie a un miracolo, esposto nel Midrash, però, quel poco bastò a mantenere acceso il lume sacro, che non doveva mai, per nessuna ragione, essere spento perché testimonianza della vigile presenza e della fede del popolo in Dio, per otto giorni.

Scrive Busi:

"Quando i Greci penetrarono nel Tempio, contaminarono tutto l'olio che vi si trovava. Allorché il partito degli Asmonei ebbe la meglio e conseguì la vittoria, si esaminarono le scorte ma si trovò che solo un'ampolla, con l'olio per il sigillo del sommo sacerdote, non era stata impura. Il contenuto sarebbe bastato ad accendere il lume per un solo giorno, ma avvenne un miracolo e durò per otto giorni; l'anno successivo si indusse, pertanto, una festa di otto giorni" [6].

La durata fu fissata in analogia con la ricorrenza di Sukkoth, la più lunga fra quelle stabilite della Torah. Durante questo periodo in ogni casa ebraica sono accese luci, in memoria del miracolo e celebrazione della vittoria della fede, vicino a finestre perché i passanti le vedano, gioiscano e ne traggano un monito: non solo la vita del prossimo è sacra, ma anche i suoi ideali. Su rigide prescrizioni il sacro candelabro era stato modellato:

“Farai anche un candelabro d'oro puro. Il candelabro sarà lavorato a martello, il suo fusto e i suoi bracci; i suoi calici, i suoi bulbi e le sue corolle saranno tutti di un pezzo. Sei bracci usciranno dai suoi lati: tre bracci del candelabro da un lato e tre bracci del candelabro dall'altro lato. Vi saranno su di un braccio tre calici in forma di fiore di mandorlo, con bulbo e corolla e così anche sull'altro braccio tre calici in forma di fiore di mandorlo, con bulbo e corolla. Così sarà per i sei bracci che usciranno dal candelabro. Il fusto del candelabro avrà quattro calici in forma di fiore di mandorlo, con i loro bulbi e le loro corolle: un bulbo sotto i due bracci che si dipartano da esso e un bulbo sotto gli altri due bracci e un bulbo sotto i due altri bracci che si dipartano da esso; così per tutti i sei bracci che escono dal candelabro. I bulbi e i relativi bracci saranno tutti di un pezzo: il tutto sarà formato da una sola massa d'oro puro lavorata a martello. Farai le sue sette lampade: vi si collocheranno sopra in modo da illuminare lo spazio davanti ad esso. I suoi smoccolatoi e i suoi portacenere saranno d'oro puro. Lo si farà con un talento di oro puro, esso con tutti i suoi accessori” [7].

Adolfo Locci, rabbino capo di Padova, rileva:

“Con queste parole il Signore inizia l’illustrazione del progetto della Menorah. Ben Ish Chay (Yosef Chayym di Bagdad 1832-1909) spiega che la Menorah è oggi simboleggiata dalla Amidah che recitiamo tre volte al giorno. La recitazione dell’Amidah è uno degli strumenti per restaurare la Shekhinah, la presenza divina che, come la Menorah, deve essere: di “oro puro” – cioè recitata con espressione chiara e senza errori; “tutta di un pezzo” – detta in un’unica composizione, senza interruzioni, compresi il “piedistallo” (le preghiere di supplica che seguono la Amidah) e il “fusto” (le benedizioni che la compongono). “I suoi calici” rappresentano le singole lettere e parole che formano benedizioni; “i suoi boccioli” simboleggiano il luogo del pensiero dell’uomo che deve esprimersi nella recitazione dell’Amidah; “i suoi fiori” sono le aggiunte che i Maestri hanno permesso di fare all’interno delle benedizioni; “da essa saranno” indica che le aggiunte, per essere accettate, devono essere all’interno del contesto della benedizione. Ben Ish Chay sembra dirci, svelando questa simbologia nascosta, che quando recitiamo l’Amidah, è come se stessimo davanti la Menorah, anzi, come se noi stessi fossimo una Menorah[8].

Il candelabro a sette bracci usato nel tempio era acceso ogni sera dai kohanim, sacerdoti; al mattino era ripulito sostituendo gli stoppini e mettendo altro olio d'oliva nelle coppe. La menorah a nove bracci usato nelle celebrazioni di Hanukkah di solito riprende il modello di questa menorah, perché celebra il miracolo dell'olio sufficiente per un giorno che in questa menorah durò otto giorni.

Sebbene nella festa di Hanukkah si possa cogliere una concomitanza, per lo meno temporale, con le celebrazioni del solstizio d'inverno, diffuse in varie tradizioni antiche, la leggenda dell'olio prodigioso istituisce una continuità simbolica tra gli otto lumi della chanukiah e la menorah del Tempio, come se il cerimoniale ieratico fosse stato, almeno in parte, trasposto nel candelabro domestico.
Il ner tamid, letteralmente "luce perpetua" “luce continua" anche tradotta come “fiamma eterna”, parte del corredo sinagogale, singolo lume, di solito pendente dal soffitto, mantenuto sempre acceso di fronte all'armadio sacro, simboleggia la menorah. In età medievale, con l'affermarsi del lessico cabbalistico, l'immagine della menorah si arricchì di un significato connesso alla dottrina dell'albero della vita.

Una corrispondenza mistica tra la menorah del Tempio e la lampada di Hanukkah è proposta da Joseph ben Abraham Gikatilla (1248 – post 1305) in Sha'are Orah, o Sefer ha-Orah 8, che approfondisce il legame con le dieci sefirot.
Resta da scoprire come questo rilievo si trovi o sia arrivato a Mesagne. La chiesa della Madonna della Misericordia fu eretta ai primi del XVI secolo su preesistenze legate all’ambito monastico a vantaggio dei pellegrini in transito sull’importante arteria che da Napoli conduceva a Lecce e a Otranto.
La ricerca continua.

Mesagne 7 gennaio 2013 - San Raimondo.

Foto Antonio Pasimeni (clicca per ingrandirle)
Mesagne. Chiesa della Madonna della Misericordia. Rilievo


.[1] F. CAMPANA, La Madonna della Misericordia - Santuario del Capitolo e del Popolo di Mesagne, Latiano: Neografica, 2002, pp.36-7
[2] G. BUSI, Simboli del pensiero ebraico, Torino: Einaudi, 1999, pp.218-9.
[3] Zacc. 4,1-3.
[4] Zacc. 4,10-4.
[5] 1 Mac. 4, 47-50.
[6] BUSI, pp. 567-8.
[7] Esodo 25, 31-39
[8] Vedi http://moked.it/blog/2012/02/27/menorah/.
Documenti
La chiesa di Santa Maria della Misericordia in Mesagne

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