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LE STORIE DELLA NOSTRA STORIA

IL TERREMOTO DEL 20 FEBBRAIO 1743

Il 20 febbraio del 1743 è una data rimasta impressa nella memoria storica dell’intero Salento. Le cronache dell’epoca riportano un violento terremoto con epicentro nel Canale d’Otranto, a soli 50 km dalla costa salentina, e con una intensità riconducibile ad una magnitudo compresa tra 6 e 7 gradi della scala Richter.
Tre forti scosse causarono numerosi danni in molti centri abitati e la perdita di almeno 180 vite umane in tutta la Puglia. Il movimento tellurico fu avvertito in una vastissima area, ovvero nell’intera Italia meridionale e nel Mediterraneo (Grecia, malta, Albania), ma le maggiori distruzioni si ebbero nel Salento, in particolare a Francavilla Fontana e a Nardò, in quest’ultima località vi furono 150 morti ma alcune fonti ne riportano ben 349.
L’attivazione di diversi segmenti di faglia produssero la sequenza delle scosse telluriche, un fenomeno che probabilmente generò anche un violento maremoto (oggi più comunemente definito tsunami) che, secondo il prof. Paolo Sansò - docente di Geografia Fisica e Geomorfologia presso l’Università del Salento - si produsse con maggiore intensità a sud di Otranto, in corrispondenza di Torre Sant’Emiliano. Qui sono stati individuati e studiati centinaia di blocchi calcarei di grosse dimensioni, il più grande ha dimensioni di 5 × 3, 5 × 1,5 metri e pesante circa 70 tonnellate.
Ulteriori ricerche sul litorale brindisino hanno permesso di individuare gli effetti di questo maremoto anche a Torre Santa Sabina, mentre a Brindisi sembra che vi fu un improvviso abbassamento del livello del mare del porto interno, infatti nella Cronaca dei Sindaci si legge: "è stato così spaventoso che ritirandosi il mare, faceansi vedere aperture della terra, ed il molo di Porta Reale diviso in tre parti". Secondo gli studi del prof. Sansò la quota massima raggiunta dall’onda generata dal maremoto a Brindisi sarebbe stata di “solo” un metro e mezzo.


Piazza Duomo e la Cattedrale (Basilica di San Giovanni Battista)

Le memorie dell’epoca riportano che l’evento sismico nella nostra città si verificò fra le 23:30 e le 23:45 e durò complessivamente due minuti; nella circostanza vi furono numerosi crolli di abitazioni e di tante chiese, edifici in gran parte già fatiscenti. Infatti nonostante il grande effetto provocato dal terremoto, l’efficacia distruttiva avvenne più che per la sua energia, per il degrado dei fabbricati e per la carenza di manutenzione: dal punto di vista economico il XVIII secolo era stato particolarmente disastroso e ciò aveva avuto riflesso anche sul piano dell'edilizia. Ciò trova conferma anche nel numero contenuto delle vittime, di fatto morirono per il sisma solo tre persone, Giuseppe Caravaglio "per esserli cascato un muro sopra, di una casella, davanti il palazzo di Pascale Blasi alla marina" e i fratellini Francesca (di soli tre anni) e Donat’Antonio Scarabone, rimasti coinvolti nel crollo della loro abitazione sita nei pressi dell’attuale via Conserva. I registri parrocchiali dell’epoca non registrarono un indice di mortalità superiore al consueto.
Tra gli edifici particolarmente danneggiati vi furono anche la chiesa di San Giovanni al Sepolcro, il palazzo del seminario, dove crollò la facciata, e l'episcopio, dove vennero giù alcune stanze. Anche l’antica cattedrale romanica del 1089 subì gravi danni, fu dichiarata pericolante e non idonea alle funzioni, pertanto si decise di smantellare il tetto e di demolire le navate della chiesa. I lavori che si svolsero nelle settimane successive procurarono però l’ulteriore indebolimento dei muri, pertanto metà della struttura “crollò fragorosamente” a mezzogiorno del 20 giugno, e alle quattro della notte successiva cadde anche il campanile. La Basilica dedicata a San Giovanni Battista fu poi ricostruita dall’architetto leccese Mauro Manieri, completata nel 1750 fu più volte restaurata nei decenni successivi. In realtà, secondo l’opinione di alcuni studiosi basata sull’analisi attenta di fonti documentali ed epigrafiche, il terremoto aveva offerto l’occasione per adeguare la cattedrale al gusto del secolo, ma non l’avrebbe distrutta.


Statua (macenula) dell'Immacolata nella chiesa di San Paolo

Le memorie popolari, correlate al culto dei Santi e alla loro intercessione nell’evitare danni maggiori di quanti – in effetti - se ne verificarono per il terremoto, sussistono in numerosi centri dell’intero Salento, dove il 20 febbraio si continuano a celebrare numerose cerimonie religiose di ringraziamento.
A Brindisi la tradizione è legata alla venerazione della Madonna Immacolata della chiesa di San Paolo, ritenuta miracolosa per aver dato scampo alla città da un disastro maggiore: il racconto popolare parla del ritrovamento della statua (macenula) sull'ingresso della chiesa con gli occhi rivolti al cielo e le mani aperte (originariamente erano congiunte), come ad implorare Dio di fermare il terremoto. La devozione del popolo brindisino alla “Madonna del terremoto” continua ad essere molto sentita, in passato il 20 febbraio si celebrava con una solenne processione lungo le strade della città, dalla chiesa di san Paolo a quella del Cristo dei Domenicani, poi sostituita con un triduo di ringraziamento e dalla funzione religiosa.

Bibliografia:
» F. Ascoli. La storia di Brindisi. 1886
» P.Cagnes - N. Scalese. Cronaca dei Sindaci di Brindisi - 1529, 1787. 1978 (rist)
» N. Vacca. Brindisi ignorata. 1954
» G. Carito. Il terremoto del 1743 in Brindisi. in Brindisii Res XV.1983

Documenti correlati
» Febbraio 1743 tre scosse che legarono Brindisi alla Madonna (Il 7 Magazine n.137)
» I terremoti a Brindisi
» La chiesa di San Paolo Eremita
» La Basilica Cattedrale

Sitografia consultata:


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