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LE STORIE DELLA NOSTRA STORIA

Brindisi durante il regnodell'imperatore Carlo V:
i 40 anni di Carlo IV re di Napoli dal 1516 al 1556

Carlo IV sul trono di Napoli
Carlo V l’imperatore, fuanche Carlo I di Spagna, Carlo II d’Ungheria e Carlo IV di Napoli. Carlo, figlio dell’arciduca d’Austria Filippo il Bello – e quindi nipote dell’imperatore Massimiliano d’Asburgo – e dell’infanta Giovanna la Pazza – e quindi nipote del re Ferdinando il cattolico – con la morte del nonno materno nel 1516, a soli sedici anni, per la morte del padre e per quella del fratello e della sorella della madre, divenne erede dei regni dei Paesi Bassi, di Aragona, di Castiglia e di Napoli. E dopo tre anni, nel 1519 alla morte del nonno paterno, ereditò anche il titolo del sacro romano impero. Nel 1554 rinunciò al titolo imperiale a favore del fratello Ferdinando e nel 1556 rinunciò alle corone dei Paesi Bassi della Spagna e di Napoli a favore del figlio Felipe II. Brindisi, che apparteneva al regno di Napoli, ebbe pertanto come sovrano l’imperatore Carlo V – il re Carlo IVdi Napoli – durante tutti quei quarant’annicompresi tra il 1516 e il 1556.
Il regno di Napoli era diventato possedimento spagnolo solo da qualche anno, da quando era stato sottratto agli aragonesi medianteun accordo segretotra il re di Spagna Ferdinando e il re di Francia Luigi XII. L’accordo prevedeva la Campania e gli Abruzzi per la Francia e la Calabria e la Puglia per la Spagna. Poi però, nel 1504, l’accordo sfociò in guerra aperta tra Spagna e Francia proprio sulla disputa per il Tavoliere delle Puglie e alla fine gli spagnoli ebbero la meglio. Ferdinando il cattolico re di Spagna divenne così il nuovo sovrano del regno di Napoli, defenestrando il proprio cugino Federico I succeduto a Ferdinando II e nominando un viceré.
E anche Brindisi, che da qualche anno – dal 30 marzo 1496 – apparteneva alla repubblica di Venezia, alla quale era stata ceduta dal re Ferdinando II in compenso per l’aiuto ricevuto contro il tentativo d’invasione del regno di Napoli da parte del re di Francia Carlo VIII, fu consegnata agli spagnoli nel 1509. Iniziava così per Brindisi il lungo periodo vicereale spagnolo che sarebbe durato duecento anni.
La breve parentesi veneziana di Brindisi, tra il 1496 e il 1509, costituì di fatto la cerniera del passaggio della città dal dominio aragonese al dominio propriamente spagnolo, quello del regno di Spagna del reggente Ferdinando il cattolico e, dopo la sua morte nel 1516, del nipote Carlo I di Spagna, il futuro imperatore Carlo V.La corona di Spagna istituì nel regno di Napoli un vicereame che restò suo possedimento diretto fino al 1713, mantenendo in Napoli il viceré e tutti gli organi amministrativi più importanti, avvicendando nelle varie province e città del regno, Brindisi inclusa, governatori e capitani di guarnigione che furono sempre spagnoli.


Torrione di Carlo V a Porta Mesagne (dal web)

Il rafforzamento delle strutture difensive della città
Il 22 dicembre 1516Ferdinando – Hernandode –Alarcòn fu nominato castellano maggiore di Brindisi,con anche l’incarico di supervisore delle fortificazioni in Terra d’Otranto. Presto si rese conto che le strutture difensive della città non erano sufficienti a garantirne la protezione da terra – all’entrata del porto era già stato costruito il castello Alfonsino – per cui si dispose alla realizzazione di varie fortificazioni, restando come castellano ufficiale di Brindisi durante venticinque anni, fino alla sua morte sopravvenutaa Napoli il 27 gennaio 1540.
Nel 1525 comandò l’avanguardia della cavalleria nella battaglia di Pavia, occupandosi poi della custodia del re Francesco I di Francia, catturato in battaglia, del suo trasferimento al Real Alcázar de Madrid e del successivo viaggio a Bayonne dopo il suo rilascio, servizi per i quali l’imperatore Carlo V gli conferì il titolo di marchese della Valle Siciliana. Prese parte anche al sacco di Roma del 1527, in cui papa Clemente VII fu catturato e messo in custodia da Alarcòn nel Castel Sant’Angelo. Nel 1535 fece parte della spedizione militare che assediò Tunisi, nelle forze imperiali di Carlo V che presero la città difesa dai turchi di Barbarossa[D. DIAZ DE LA CARRERA, 1665].
A Brindisi, Alarcòn iniziò la costruzione del bastione di San Giorgio e ristrutturò quello di San Giacomo, aprendo sui fianchi e sulle facce della fortezza bombardiere su due ordini idonee a respingere da ogni parte gli eventuali assalitori. Tra i due bastioni, nelle adiacenze di Porta Mesagne, costruita nel 1243 ai tempi dello svevo Federico II, iniziò a edificarne un terzosu cui vi è ancora inciso in pietra lo stemma reale di Carlo V, al quale il bastione restò intitolato. Inoltre, potenziò Porta Lecce, che era stata fatta costruire da Ferdinando d’Aragona nel 1467, completandola con cortine murarie, e anche su di essa collocò lo stemma di Carlo V, affiancandolo questa volta al suo e a quello della città di Brindisi.
Alarcòn ebbe anchein progetto di completare il circuito murario intorno alla città, come si evince dai disegni relativi allo stesso, custoditi presso il Gabinetto delle stampe della galleria degli Uffizi di Firenze, ma evidentemente tali piani furono materializzati solo parzialmente, con la sola costruzione di alcune cortine murarie nei tratti compresi tra Porta Mesagne e Porta Lecce.


Porta Mesagne (dal web)

La peste del 1526 a Brindisi
E di nuovo giunse la peste a Brindisi«...e precisamente nel 1526 alli 24 del mese di luglio incominciò la peste in questa città e durò un anno continuo; dove ne morirono ottocento persone» [P. CAGNES & N. SCALESE, 1529-1787] di certo introdotta e favorita dalle tante truppe che vi si avvicendavano di continuo, transitandovi e soggiornandovi in condizioni igieniche del tutto deprecabili.
Infatti, la peste del 1526, manifestatasi in numerosi focolai sparsi in tutta l’Italia, restò ben documentata anche nella capitale del regno di Napoli:«...Cosi contagioso morbo si intese la prima volta in Napoli, in una casa appresso la chiesa di S. Maria della Scala, nel mese diagosto dell’anno 1526, qual casa appestata fu subito, per ordine degli Eletti della città, sbarrata, per levarsi il commercio che perciò questastrada, fino al presente, vien denominata de le Barre. La peste cominciò in Napoli il suo lavoro, e talmente continuòtutto l’anno 1527, che non fu casa che non ne sentisse travaglio. E quando del tutto parve estinta allora pigliò maggior forza perciocché l’anno 28 e 29 fé grandissimo danno, onde vi morirono dintorno a 65000 persone» [G.A. SUMMONTE, 1749].
Nel settembre1526, gli Eletti di Napoli fecero racchiudere da una struttura muraria l’ospedale degli Incurabili e Castel Novoper isolare dalla città i malati che vi ricoverati. E a Brindisi «...L’unica reale misura decretata per contrastarla fu l’erezione di un tempio a San Rocco, sulla via d’entrata alla città da Porta Mesagne, poi ribattezzato con il titolo di Santa Maria del Carmine affiancato dal monastero dei Carmelitani e che diede il nome a via Carmine» [F. ASCOLI, 1886].
Il culto a San Rocco, santo francese originario di Montpellier, che gli agiografiindicano vissuto tra la fine del XIII secolo e l’inizio del XIV secolo, affonda le sueradici intorno alla metà del Quattrocento; quando, in coincidenza con le ripetuteepidemie di peste che funestavano l’Europa, si unì e in qualche caso si sovrappose aquello tradizionale per san Sebastiano, fin lì invocato contro la peste perchésopravvissuto al martirio delle frecce, utilizzate già in epoca classica – allorquando sicredeva che fosse Apollo a scagliare i dardi delle malattie epidemiche – per simboleggiare le epidemie.
Il male era caratterizzato da una infiammazione e da un rigonfiamento doloroso dei linfonodi o bubboni generalmente a livello inguinale. La malattia improvvisamente insorgeva con brividi e febbre, i bambini avevano le convulsioni, vi era vomito, sete intensa, dolori generali, cefalea, sopore mentale e delirio. Al terzo giorno, dall’inizio dei sintomi, comparivano macchie nere cutanee, da cui il nome di "peste o morte nera" e la morte giungeva quasi subito, anche senon mancavanocasi in cui la malattia aveva un decorso benigno con sintomi lievi che si attenuavano dopo giorni fino a scomparire.


Porta Lecce (dal web)

Il crollo della colonna romana
Il 20 novembre 1528, una delle due colonne romane che avevano sfidato per tanti secoli le intemperie dei tempi, cadde senza apparente ragione (però era in corso una guerra):
«... Il pezzo supremo restò sopra l’infimo, mentre quelli compresi fra la base e il capitello, caddero a terra. Nessuna disgrazia successe, i pezzi caduti furono poi portati a Lecce e il pezzo supremo vedesi ancora al giorno d’oggi con meraviglia rimanere attraversato sull’infimo» [A. DELLA MONACA,1674].


Bastione San Giacomo

Il sacco di Brindisi del 1529
Dopo le dispute per la successione al trono dell’impero tra il vincitore Carlo d’Asburgo e il perdente Francesco di Francia, questi diede vita alla Lega di Cognac, che fu costituitail 22 maggio1526 da Francia, Firenze, Venezia, Milano e Inghilterra, e ad essa aderì anche lo Stato Pontificio del papa Clemente VI. Quella mossa del pontefice causò la reazione dell’imperatore, che radunò un esercito di mercenari lanzichenecchi tedeschi per farli discendere in Italia dove, assieme alle truppe spagnole e italiane sovrastarono le forze della Lega, di scarsa coesione e mediocre efficienza militare, e dopo qualche mese giunsero alle porte di Roma.
Entrarono nella capitale pontificia il 5 maggio 1527mentre il papa si rifugiava in Castel Sant’Angelo. I lanzichenecchi, esasperati per le pessime condizioni sopportate durante la campagna e per i mancati pagamenti pattuiti, si diedero per otto giorni al saccheggio della città e alla violenza sui suoi abitanti.
In seguito agli eventi di Roma, nell’agosto del 1527, l’esercito francese discese in Italia e si unì alle altre forze della Lega sotto la guida del maresciallo d’oltralpe Odet de Foix, conte di Lautrec. Alla fine dell’anno, con la notizia dell’imminente uscita delle truppe imperiali da Roma, i collegati di Cognac decisero di portare la guerra al sud, nello spagnolo regno di Napoli. Lautrec quindi, intraprese lo spostamento di tutte le forze allegate verso Napoli e ai primi di marzo del 1528 entrò nella strategica Puglia.
Anche l’esercito imperiale si diresse in Puglia guidato da Filiberto principe d’Orange il quale, alla notizia che gli alleati avevano preso facilmente Melfi e Ascoli, intraprese la via della ritirata strategica a Napoli. Altre città si arresero o si allearono alla Lega: Barletta, Monopoli, Molfetta, Bisceglie, Giovinazzo, Cerignola, Trani, Andria, Minervino, Altamura, Matera, Polignano, Mola, Bari – dove però i castelli rimasero spagnoli – e Ostuni. Fece invece resistenza Manfredonia, mentre l’esercito alleato inseguiva gli imperiali e mentre, a sud, i veneziani pensavano a riprendersi i porti perduti nel 1509: Gallipoli, Otranto e soprattutto a Brindisi.
«… Questa città, come le altre di Puglia, era sfornita di truppe imperiali che erano state mandate verso la Capitanata al principio della guerra. All’intimazione di arrendersi e non ostante la minaccia di dover pagare cinquantamila scudi, rispose dapprima negativamente per timore dei forti, ma poi, aperte trattative, il 29 aprile 1528 Brindisi alzò bandiera veneziana, mentre le persone atte alle armi si ritiravano nelle due fortezze a difendervi la bandiera imperiale. I veneziani appena entrati in città, ove fu posto a governatore Andrea Gritti, commisero soprusi e angherie contro gli abitanti ai quali già avevano rovinato le campagne all’intorno, poi misero l’assedio ai castelli stabilendo di darvi in maggio un pieno assalto» [V. VITALE, 1907].
A metà di maggio, l’ammiraglio veneziano Pietro Lando – senza essere riuscito a espugnare i due castelli, nonostante i tanti e ripetuti attacchi sferzati sia da mare che da terra – con le sue galere, che non potendo entrare nel porto avevano trovato approdo nella rada di Guaceto, fu inviato a Napoli per rafforzarne l’assedio.
Nel 1529, gli imperiali guidati in Puglia dal marchese Del Vasto, deliberarono la riconquista delle più importanti terre perdute, Barletta, Trani, Monopoli, senza peraltro riuscirvi. Mentre i collegati deliberarono tornare alla riscossa della strategica Terra d’Otranto e il 28 luglio riattaccarono Brindisi, puntando soprattutto alla presa dei due castelli: quello di terra, difeso dal vice castellano Giovanni Glianes e quello di mare, difeso dal vice castellano Tristan Dos. Il castellano generale, Ferdinando – Hernando – Alarcon, era in quei giorni impegnato nella difesa della assediata Napoli.
Il provveditore veneziano Pietro Pesaro, il 13 agosto prese terra a Porto Guaceto e con l’avanguardia si avvicinò alla città, la quale si lasciò persuadere ad arrendersi, ma contro i patti, fu saccheggiata dalle truppe francesi, mal frenate dai veneziani. Il 18 arrivò Camilo Orsini con mira a prendere i castelli, che anche questa volta erano rimasti nelle mani spagnole, cominciando con quello di terra.
Esaurite però, dopo solo due giorni, le munizioni, si decise di chiamare a rinforzo il capitano Simone Tebaldi Romano che presto giunse a Brindisi con i suoi 16.000 soldati: “e qui, il 28 agosto, in una ricognizione intorno al castello di terra, egli trovò la morte per un colpo di artiglieria”.
Poi, finalmente giunse la notizia che a Cambrai il 5 agosto era stata firmata la pace e, pur con la reticenza dei veneziani, l’assedio alla città fu tolto. Ma per Brindisi era ormai troppo tardi: l’uccisione del Romano aveva già scatenato l’inferno.


Castello svevo o di Terra

«Furono della morte di costui dalla soldatesca celebrati lagrimosi funerali nella misera città, contro la quale sfogò il suo sdegno senza timore alcuno della divina giustizia, e senza pietà degl’innocenti; perciò che i soldati, essendo di varie nationi, e liberi dal freno delcapitano, trascorsero nella solita loro indomabile natura, essendo naturalconditione di costoro, quando non han capo, che li guidi, di commettere ogni enormità imaginabile... Quel furore dunque, che dovevan accenderli contro i loro proprij nemici, che stavano nella fortezza uccisori del loro duce, rivolsero contro gli amici della città, che spontaneamente gl’havean raccolti nelle loro case, e dando nome di vendetta alla loro avaritia, e di giustitia alla loro perfidia, s’incrudelirono nell’innocente città, e nella robba de’ cittadini. Comiciò a darsi sacco di notte, per celar forse col buio delle tenebre, la crudeltà ch’usavano. Non si possono senza orrore descrivere, né meritano esser udite da orecchie umane le particolarità delle sceleratezze commesse da quella soldatesca diss’humanata, e feroce, avida non men di sangue, che di ladronecci. Non perdonarono a cosa alcuna, humana o divina, furono gl’infelici vecchi, e l’innocente vergini tratti per barba e per crine, acciò rivelassero le nascoste ricchezze, furono abbattuti i chiusi claustri, e fracassate le caste celle delle spose di Dio. I tempij con orrendi sacrilegi profanati; furono fatte in minutie i tabernacoli, e buttando per terra le sacre hostie consacrate, si presero i piccoli vasi d’argento ove stavan riposte. Eccessi invero abominevoli, & esecrandi, per li quali meritavano aprirsi le voragini della terra, & esser da quelle ingoiati; o esser fulminati dal cielo, o strangolati dalle furie; ma si differì dalla divina giustitia il dovuto castigo ad altro tempo per esser più severo degl’accennati… Restò per qualche conforto alla depredata città il cadavero del general nemico, che fu seppellito nella chiesa di Santa Maria del Casale in un deposito, dal canto destro nell’entrar della porta principale della chiesa, dove fino a tempi nostri si lesse quest’iscrittione nel sasso: Hic iacetSimeonThebaldusRomanus, imperator exercitus.» [A. DELLA MONACA, 1674].

Quando il castellano Ferdinando Alarcon rientrò a Brindisi, incontrò la città semidistrutta e subito si sommò alla richiesta inviata dai cittadini al re, avallata dal viceré principe d’Orange, affinché fosse annullata la condannaper ribellione che era stata inflitta alla città dal commissario Girolamo Morrone– essendo stata considerata fiancheggiatrice di francesi veneziani e papalini per la sua reiterata resa alle truppe della Lega e perl’atteggiamento cittadino valutato come ostile all’imperatore– segnalando, a sostegno della sua posizione, proprio l’epica resistenza che avevano mostrato entrambi i suoi castelli, lottando fedeli all’imperatore senza mai arrendersi agli allegati.
Per buona ventura deibrindisini, la richiesta della città fu finalmente accolta da Carlo Vecosìa Brindisi furono anche integralmente restituiti tutti i privilegi che nel passato erano già stati concessi dai re Ferdinando I d’Aragona e Ferdinando il Cattolico.


Castello Alfonsino o di Mare

La popolazione di Brindisi al minimo storico
Nello scorcio di quello storico e tristissmo anno 1529, dopo la terribile peste scoppiata nel 1526, dopo il crollo improvviso della colonna romana, dopo l’assalto e il saccheggio delle truppe papali francesi e veneziane, Brindisi era ormai giunta allo stremo e la sua popolazione si era ridotta a meno di 400 fuochi, circa 2.000 abitanti, un minimoda alloramai più toccato.

Gli arcivescovi di Brindisi
Carlo V dunque, vinse quell’ennesimo confronto con la Francia di Francesco I e la pace che ne derivò, con il trattato di Cambrai del 5 agosto 1529, riaffermò il dominio della Spagna su tutto il regno di Napoli. Fra le condizioni della pace s’incluse che Carlo V avesse il diritto di nominare nel regno 18 vescovi e 7 arcivescovi, tra i quali quello di Brindisi. E da quel momento la chiesa brindisina, che fino ad allora era appartenuta ai pontefici, divenne regia, garantendo al regno, con la nomina di prelatispagnoli, l’affidabilità di una città strategicamente importante.
Aleandro Girolamo, arcivescovo di Brindisi e Oria dal dicembre 1524, poi fatto cardinale dal papa Paolo III, nel 1541 rinunciò per recarsi a Roma a far parte della commissione per la riforma della curia romana, in preparazione del Concilio di Trento, ma vi morì dopo poco, il primo febbraio 1542.
Gli succedette, nominato dall’imperatore Carlo V e ratificato dal papa Paolo III, il nipote Francesco Aleandro, del quale si disse fosse più atto a maneggiare la spada che a reggere il pastorale e che ebbe seri problemi ad essere riconosciuto dagli oritani, i quali pretendevano che egli s’intitolasse “ArchiepiscopusUritanus et Brundusinus”in considerazione della supposta supremazia diocesana di Oria su Brindisi, finché il papa Paolo III con bolla del 24 maggio 1545, diede torto agli oritani e li obbligò a restare soggetti all’arcivescovo di Brindisi. Francesco Aleandro morì il 3 novembre 1560.

I Coronei a Brindisi
Nell’ottobre del 1534, al papa Clemente VII succedette il romano Alessandro Farnese con il nome di Paolo III, mentre l’Europa, che continuava a logorarsi nell’interminabile guerra tra Carlo V e Francesco I, era minacciata dalle brame di conquista di Solimano dettoil magnifico, il potente imperatore ottomano che utilizzando la flotta barbaresca – basata in Tunisi – del famoso ammiraglio Ariadeno Barbarossa, Kair ed-din, assaliva sistematicamente gli stati marittimi più esposti, nonostante l’altrettanto sistematica e determinata reazione delle flotte cristiane, le imperiali, le napoletane ele genovesi,guidate il gran ammiraglio Andrea Doria.
In questo contesto bellico, sulla costa meridionale del Peloponneso, nell’antica Morea, la strategica cittadina fortificata bizantina di Corone – già roccaforte venezianadal 1204 in cui fin dal secolo XI coesisteva una folta minoranza albanese ortodossa – caduta in possesso dei turchi nel 1500 e riconquistata da Andrea Doria nel 1532, fu riespugnata dai turchi di Barbarossa nel 1534. Quindi, grazie ad accordi diplomatici intercorsi tra gli imperatori Carlo V eSolimano, a molte famiglie ortodosse della città fu consentita la scelta dell’esilio nel regno di Napoli e così in quell’occasione – ne seguirono altre – circa 2.000 albanesi coronei, s’imbarcarono sulle navi dell’alleanza di Carlo V e fecero rotta per le regioni del sud d’Italia, principalmente in Calabria ma anche in Sicilia e in Puglia.
Nel 1536, infatti,giunse a Brindisi una colonia di Coronei che «...Ottennero poter costruire le loro abitazioni lungo la via che mena a Lecce con chiese per il loro rito greco» [F. A. PRIMALDO COCO, 1939]e per vari decenni fu un loro carismatico sacerdote, Antonio Pirgo, che nella chiesa Cattedrale celebrò con il rito greco vari battesimi di bambini coronei, e non solo:
«L’11 luglio 1553 don Antonio Pirgo, sacerdote greco, battezza il figlio di un coroneo e altri battesimi, con rito greco, vengono celebrati nella cattedrale dallo stesso sacerdote, detto alcune volte Pirico, altre volte Piria, il 19 novembre 1553, il 7 giugno 1554, il 31 marzo 1555. Il 17 febbraio 1572 don Antonio Pyrgo, battezza Caterina figlia di Giannetto de Paulo de Pastrovichi e Milizia de Rado de Pastrovichi e l’ostetrica è Stana de Jacopo Pastrovichi. Nei giorni 9 gennaio, 12 maggio, 16 luglio, 18 ottobre, 23 novembre 1573 e 28 gennaio, 28 febbraio, 14 marzo 1574, battezza bambini della colonia greca residente nella città» [P. CAGNES & N. SCALESE, 1529-1787].

Del resto, furono tutti quelli, eventi abbastanza ordinari, giacché la liturgia greca si era sviluppata anche a Brindisi fin dallo scisma d’Oriente del 1054, e si mantenne in uso nella città fino al 1680, nonostante il Concilio di Trento del 1545 avesse ufficialmente sostituito il rito greco con quello cattolico officiato in latino.
Le comunità greche albanesi poi, in tutta la Terra d’Otranto, finirono progressivamente con abbandonare la lingua madre, che si mantenne circoscritta a solamente un’isola linguistica di pochi comuni situati nella penisola salentina, specialmente nel tarantino, tra quelli San Marzano, attualmente il più grande comune Arbëreshë d’Italia.

Gli Ebrei via da Brindisi
Nel novembre del 1539 l’imperatore Carlo V decretò l’espulsione degli ebrei dal regno di Napoli e subito, anche a Brindisi giunse l’editto «... Che si discacciano dalla città gli ebrei, parendo che colle loro usure divorassero le sostanze de popoli e seminassero con l’esempio l’empietà loro. Pure alcuni di loro restarono in Brindisi nella cristiana e in buono et onorevol stato.» [A. DELLA MONACA, 1674].

«...Quegli ebrei a Brindisi erano venuti ad abitare, in numero piuttosto considerevole, ai tempi degli aragonesi. A dire il vero, questi ebrei cole loro industrie, coi loro traffici, colle loro ricchezze avevano di molto contribuito al benessere della città. La quale, riconoscente, aveva fatte premurose istanze al viceré di Napoli, affinché si fosse loro permesso di restare lì. Ma i tentativi e gli sforzi tornarono vani. E questo esito era da aspettarsi dal fanatismo religioso di Carlo V e dal suo viceré Don Pedro de Toledo, i quali avevano – vanamente – tentato di stabilire l’inquisizione in Napoli.» [F. ASCOLI, 1886].

In realtà, gli ebrei a Brindisi c’erano anche da molto prima che arrivassero gli aragonesi. Dopo la conquista e distruzione di Brindisi ad opera dei Longobardi, intorno al 670 dC «… La documentazione epigrafica dà la certezza che rimasero, ai margini della città, solo alcuni gruppi di ebrei, parte stabiliti nella zona detta ‘Giudea’, presso il seno di Levante del porto interno, parte presso l’attuale via Tor Pisana.» [G. CARITO, 1976]. E poi «...Quando la città rinacque alla fine del IX secolo, anche gli ebrei vi ritornarono. Nella seconda metà del secolo XII il viaggiatore navarrino Beniamino da Tudela vi troverà una decina di famiglie dedite alla tintoria.»[A. FRASCADORE, 2002].

Con l’editto di Carlo V, chetardò un paio d’anni ad essere concretamente attuato, alcuni degli ebrei brindisini emigrarono a Corfù, Patrasso e Salonicco, dove vennero ben accettati e dove mantennero inuso la lingua, i costumi e i riti religiosi che si portarono da Brindisi; mentre quelli che rimasero attuarono il marranesimo, ossia l’osservanzadella religione cattolica nelle apparenze e nella pratica domestica quella degli usi e rituali ebraici.


Carlo V

Mamma li turchi!
Gran parte delle azioni di Carlo V e di tutti gli eventi che si susseguirono durante i quarant’anni che durò il suo trono sul regno di Napoli, furono fortemente condizionati dalla sua permanente e interminabile guerra contro Francesco I, il re di Francia, il quale mai rinunciò alla lotta anti-Carlo V e giunse persino a sostenerla mediante l’antinaturale e funesta alleanza con l’impero ottomano di Costantinopoli.
Infatti, furono costanti durante tutti quegli anni gli episodi legati agli attacchi e alle scorrerie turco-barbaresche sulle coste e sulle città dello spagnolo regno di Napoli, e tra le più esposte quelle pugliesi e, naturalmente, non fecero eccezione quelle brindisine.
Nel contesto delle guerre tra Francesco I e Carlo V e dell’alleanza franco-turca, tra gli assalti più prossimi a Brindisi ci fu quello del 27 luglio 1537,quando i turchi di Barbarossa sbarcarono a Castro, ottenendo la resa dal comandante del castello dietro assicurazioni che sarebbero stati rispettati gli abitanti. Più che i patti, naturalmente non osservati, influirono sulla resa le ingenti forze – 7000 fanti e 500 cavalli – messe a terra dai turchi, giacché quell’azione rientrava nel piano franco-ottomano secondo cuii turchi avrebbero attaccato il sud d’Italia mentre i francesiavrebbero attaccato il nord d’Italia.
L’imperatore ottomano Solimano, infatti, inviò un esercito di 300.000 uomini da Costantinopoli a Valona, con l’obiettivo di trasportarli in Italia con una flotta di 100 galeegià pronta, nel mentre il suo ammiraglio Barbarossa devastava la costa tra Otranto e Brindisi, in attesa del momento propizio per prendere Brindisi – dove sembra che ai francesi fosse riuscito di corrompere il governatore locale che avrebbe dovuto favorire lo sbarco dell’esercito ottomano –da cui proseguire la conquista del regno napoletano.
Francesco I però, non riuscì a concretizzare il suo piano nel nord d’Italia e, invece, andò ad attaccarei Paesi Bassi. Fallito così il piano prestabilito, nel mese di agosto 1537 gli ottomani rinunciarono a prendere Brindisi, lasciarono il sud d’Italia e posero l’assedio navale a Corfù, dove all’inizio di settembre 1537 vennero raggiunti da 12 galee francesi dell’ammiraglio Baron de Saint-Blancard, il quale tentò vanamente di convincerliad attaccare nuovamente le coste della Puglia, la Sicilia e Ancona, ma a metà settembre Solimano riportò la sua flotta a Costantinopoli, senza neanche aver preso Corfù.
Qualche tempo dopo, senza che nel mentre fosse mai stata messa da parte la bellicosa rivalità tra Francesco I e Carlo V, in quegli stessi anni in cui il viceré spagnolo di Napoli, Pedro de Toledo, tentava di convincere l’imperatore Carlo V ad instaurare l’inquisizione nel vice regno, era principe di SalernoFerrante Sanseverino. La sua decisa opposizione a quell’iniziativa lo collocò in rotta di collisione con il viceréfinché, aggravatosi lo scontro, nel 1552 fudichiarato ribelle e condannato a morte dal Consiglio collaterale di Napoli. Costrettocosì a prendere la via dell’esilio, il principe si rifugiòin Francia sotto la protezione del re Enrico II, che nel 1547 era succeduto al padre Francesco I.
Dall’esilio, Sanseverino, per anni si adoperò con impegno aravvivare la coalizione, integrata dal regno di Francia la repubblica di Venezia e l’impero turco, per combattere Carlo V ed il suo regno napoletano. Anche se finalmente non raggiunse l’obiettivo della presa di Napoli, non mancarono sue iniziative concrete volte a quell’impresa, come quando – nel 1554 – al comando di una flotta francese di 18 galere, si unìalla flotta turca ancorata aPrevesa, sulla costa nordoccidentale della Grecia, per sferrare l’offensiva.


Francesco I e Solimano il Magnifico

«Brindisi, ammaestrata dall’esperienza, vedendo addensarsi sì minacciosa burrasca ed in luogo così vicino, entrò con gran timore che i primi tentativi di sbarco e i primi assalti sarebbero diretti contro di essa. Il quale pericolo essendo stato conosciuto anche dal governo di Napoli, furono mandati di presidio in questa città 400 soldati calabresi, sotto comando di Giovanni Battista de Abinante. Questo nerbo di forze era un’accozzaglia di persone di mala vita e di pessimi costumi. Dissimile dai soldati non era il loro capo…
In breve tempo, stando quei soldati in ozio, divennero insolenti, tracotanti. I cittadini erano pubblicamente insultati; le botteghe derubate; i pubblici negozii malmenati; la virtù vilipesa; la pudicizia delle donne oltraggiata.I cittadini perdettero alla fine la pazienza e levatisi a tumulto, giurarono di vendicarsi dei torti fin’allora ricevuti e di non risparmiare alcuno di tai malcapitati. Percorrendo armati le strade della città uccidevano quanti di quei soldati incontravano, e…
Avrebbero trucidati tutti quei soldati, se, avuto sentore del tumulto, non fossero accorse le autorità provinciali da Lecce. Le quali, unitesi ai più saggi e prudenti della città, riuscirono a stento a frenare l’impeto e a calmare l’ira della popolazione… E il viceré, cardinale Pedro Pacheco, tenuto conto della provocazione, assolse la città e castigò severamente il presidio ch’era sopravvanzato alla strage
» [F. ASCOLI, 1886].


Andrea Doria Khayr al-Din Barbarossa

Dal re Carlo al re Felipe
Ma per il re Carlo IV di Napoli – l’imperatore Carlo V, sul cui impero non tramontava mai il sole – era giunto il tempo della stanchezza e del ritiro.Nel gennaio 1556 abdicòin favore del figlio Felipe II cedendoglile corone di Spagna, deiPaesi Bassi e di Napoli, conle Nuove Indie; e nel febbraio 1557 abdicòin favore del fratello Ferdinando cedendogli lo scettro del sacro romano impero. Quindi, si ritirò nel monastero di SanYuste, in Estremadura diSpagna, dove morì il 21 settembre del 1558.Il regno di Napoli – e con esso anche Brindisi – aveva un nuovo sovrano, Felipe II. Sarebbe rimasto sul tronoanche lui, come il padre, a lungo: per altri quarant’anni.

Testo di Gianfranco Perri

-> Il documento in formato pdf

Bibliografia:

  • Diaz de La Cabrera D.Comentarios de los hechos del señor Hernando de Alarcón, marques de la Valle Siciliana y de Renda, y de las guerras en que se halló por espacio de cincuenta y ocho años - 1665
  • Della Monaca A. Memoria historica dell’antichissima e fedelissima città di Brindisi - 1674
  • Summonte G.A. Historia della città e regno di Napoli - 1749
  • Cagnes P. & Scalese N. Cronaca dei Sindaci di Brindisi 1529-1787
  • Ascoli F. La storia di Brindisi scritta da un marino - 1886
  • Vitale V. L’impresa di Puglia degli anni 1528 e 1529 - 1907
  • Primaldo Coco F.A. Gli Albanesi in Terra d'Otranto - 1939
  • Vacca N. Brindisi ignorata - 1954
  • B. Sciarra B. & C. Sciarra Il sistema difensivo a Brindisi - 1981
  • Carito G. Le Mura di Brindisi. Sintesi Storica - 1981
  • Frascadore A. Gli ebrei a Brindisi nel '400 - 2002
  • Perri G. Brindisi nel contesto della storia-2016

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