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LE STORIE DELLA NOSTRA STORIA

L'ECCIDIO DEI BRIGANTI ALLA MASSERIA SANTA TERESA
23 ottobre 1862
Episodi di inaudita violenza nei pressi della Masseria di Tuturano, dopo che alcune guardie nazionali erano state trucidate: i tragici scontri di "Santa Teresa"

Tre soldati trucidati e sei mutilati. Fu questo il tragico epilogo del più violento scontro tra una banda di briganti e la guardia nazionale avvenutonel territorio brindisino.
Il brigantaggio esisteva già prima dell’unità d’Italia,ma negli anni immediatamente successivi al 1861 il fenomeno, almeno inizialmente, segnò una sorta di trasformazione da puro banditismo in lotta armata partigiana contro i piemontesi. Le truppe reali venivano viste dal popolo come invasori e usurpatori poiché, durante l’opera di repressione, agivano spietatamente con arresti di massa ed esecuzioni sommarie, ciò fomentò l’odio tanto da far convergere nelle fila dei rivoluzionari uomini e donne di ogni estrazione sociale, civile e militare. Il brigante perciò, oltre ad essere temuto, veniva considerato dal popolo come un giustiziere, un eroe vendicatore dei deboli e difensore degli oppressi. In realtà non fu sempre così, alla ferocia si rispondeva con altrettanta brutalità in una spirale di sangue infinita.


Alcuni briganti catturati dai carabinieri (dal web)

Nel settembre del 1862 ebbero inizio una serie di episodi di violenza nel circondario brindisino con devastazioni, saccheggi, sabotaggi, omicidi, sequestri di personae richieste di riscatto compiuti al grido di “Viva Francesco II”, l’ultimo re dei Borbone che dal suo esilio romano alimentava la guerriglia con la benedizione della Chiesa. La vicenda più cruenta del brigantaggio postunitario avvenne nella masseria Santa Teresa di Tuturano, una zona particolarmente frequentata dalle bande dei fuorilegge, tanto che il noto brigante Giuseppe Nicola Laveneziana, detto “lu figghiu di lu Re”, durante l’assalto avvenuto qualche settimana prima alla masseria Cuoco – nelle campagne tra Brindisi e Mesagne - aveva apertamente sfidato le forze dell'ordine "invitandoli" a recarsi alla tenuta tuturanese: “se ànno coraggio, venissero al piano della masseria S.Teresa, che là li aspettiamo". In quegli anni le strutture agricole erano obiettivi molto ambiti dalle bande dei briganti, da fruire sia come rifugio ma anche come luoghi da assaltare e depredare.


Gruppo di briganti (dal web)

La mattina del 23 ottobre 1862 un drappello di sette carabinieri della stazione di S.Pietro Vernotico, cinque a cavallo e due a piedi, al comando del brigadiere pistoiese Giuseppe Fiorineschi uscì in perlustrazione nelle campagne tra Brindisi, Mesagne e San Pietro insieme ad una quarantina di soldati della Guardia Nazionale di Cellino San Marco. Giunti nei pressi della masseria Angelini si accorsero che dalla vicina masseria Santa Teresa si muovevano verso di loro un gruppo di circa cinquanta briganti a cavallo, ben armati e guidati dal celeberrimo e temutissimo capobanda Domenico Pasquale Romano, detto il “sergente Romano”, coadiuvato dal Laveneziana, il suo fidato luogotenente. I carabinieri a cavallo si lanciarono verso i fuorilegge ma non furono sostenuti dalle guardie, che invece, prese dal panico, fuggirono disperdendosi nella campagna circostante, a proteggere la “ritirata” ci pensarono i militari dell’Arma che “poterono combattere alla spicciolata” contro il gruppo di banditi non impegnati ad attorniare le guardie in fuga. Il carabiniere Larizza venne ferito dalle fucilate del brigante Carmine Patisso, a sua volta caduto dal cavallo dopo essere stato colpito dai militari, si salvò la vita parandosi con la mano dalle sciabolate inflitte dal brigadiere e dagli altri commilitoni, che comunque lo ferirono gravemente.


Masseria Angelini a Tuturano

Al termine dello scontro i briganti riuscirono a catturare tredici guardie nazionali che si erano date alla fuga tra la folta vegetazione, questi “svillaneggiati e battuti per istrada” furono condotti alla masseria Santa Teresa, divenuta il quartier generale della banda, e fatti inginocchiare uno affianco all’altro prima di essere fucilati. I primi costretti a “mettere di faccia a terra” furono Marco Vincenzo Pecoraro, Cristoforo Miglietta e Giuseppe Mauro detto “il mesagnese”, in quanto accusati di spionaggio, ad essi fu poggiata “la bocca del fucile sul collo” e uno per volta assassinati. Quando anche al milite Vitantonio Donadeo fu imposto di prendere la stessa posizione, lui gridò terrorizzato “Madonna del Carmine, aiutami!”, e al momento dello sparo “sentì lo scatto del fucile che non diè fuoco”, un miracolo o una pura combinazione, sta di fatto che l’arma del Sergente Romano si inceppò e il colpo non venne esploso, a quel punto il capobanda - suggestionato dall’evento - decise di salvare la vita al Donateo:“alzati che tu sei salvo – gli disse - e devi essere veramente devoto della Madonna del Carmine come ne sono io, le devi fare una gran festa”.


Il Sergente Romano e uno Scapolare della Madonna del Carmine

Anche agli altri nove soldati fu risparmiata l’esecuzione, ma prima di essere liberati vennero comunque sottoposti ad una particolare tortura: con delle forbici rudimentali il brigante Giovanni Spadofino mozzò le orecchie a cinque di loro come “ricordo” perenne di quella vicenda, gli altri quattro soldati furono risparmiati in quanto avevano la testa fasciata per le ferite riportate durante lo scontro. Un altro brigante, l’ex sottufficiale borbonico Francesco Monaco di Ceglie Messapica, decise di tagliare con un rasoio il lembo di pelle con la barba ed i baffi ad uno dei militi massacrati, che “portò seco, come segno di valore”, allo stesso modo gli altri banditi decisero di tenersi i mozziconi delle orecchie per esibirli come simboli di trionfo durante i loro vagabondaggi. Da lì passarono alla vicina masseria Colemi, dove si appropriarono di una pistola, un fucile a due colpi e una giumenta, prima di terminare la loro fuga alla masseria Apani, meta preferita per la sosta notturna. Qui, secondo alcune testimonianze, i briganti mostrarono fastosamente i macabri “cimeli” presi con ignominia dopo il supplizio inferto alle guardie nazionali.


Masseria Santa Teresa di Tuturano

I corpi dei tre militari fucilati e in parte bruciati, furono recuperati e sepolti nel cimitero di San Pietro Vernotico. Le indagini accertarono la complicità con i briganti di Achille Del Prete, affittuario della masseria Angelini di Tuturano, dove nei mesi precedenti aveva prestato servizio il bandito Laveneziana, accusa sostenuta dal rinvenimento nei fabbricati agricoli di un vessillo borbonico e di alcune munizioni.


Masseria Colemi di Tuturano

Circa un mese dopo, la notte tra il 20 ed il 21 novembre, la compagnia brigantesca composta da un centinaio di uomini assalì Carovigno, furono abbattute tutte le insegne sabaude e saccheggiate alcune botteghe e le abitazioni private dei borghesi liberali, all’impresa parteciparono con manifestazioni di giubilo molti contadini e popolani favorevoli alla causa dei briganti, fu l’occasione per dare sfogo i propri risentimenti. Di ritorno dal sacco la masnada dapprima si fermò a pregare nel santuario della Madonna del Belvedere (i briganti erano molto religiosi e veneravano la Madonna del Carmine), quindi si rifugiò a masseria Badessa, nei pressi di Serranova. Poche ore dopo una vedetta allertò i fuorilegge dell’arrivo di un piccolo drappello di Guardie Nazionali e Carabinieri che, grazie anche alle indicazioni fornite ai briganti dal massaro D’Adamo, furono attaccati e respinti; durante lo scontro venne catturato il militare sanvitese Michele Catamerò, successivamente sgozzato “con un coltello adoperato a mò di sega”.


Carovigno, Santuario della Madonna del Belvedere


Serranova, Masseria Badessa

La banda si sentiva forte ed invincibile, al punto da organizzare persino un assalto al bagno penale di Brindisi per liberare i carcerati e poi “aggredire Brindisi e più facilmente Mesagne”, un piano che però non fu mai concretizzato. L'annientamento della banda del sergente Romano avvenne nel gennaio del 1863 con la morte del loro leader dopo un aspro combattimento nelle campagne tra Santeramo e Gioia del Colle.

Giovanni Membola
per Il 7 Magazine n.90 del 22/3/2019

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