.:. ENTI CULTURALI - MUSEO

Museo Diocesano "Giovanni Tarantini"
Piazza Duomo - Brindisi - Tel. 0831.562391
Carito prof. Giacomo - Responsabile

Il museo diocesano è fulcro del progetto diocesano per i beni culturali; i materiali raccolti derivano dall'attività sistematica d'inventariazione dei beni mobili condotta nell'arcidiocesi. La sede è nel settecentesco palazzo del Seminario recentemente restaurato e dotato d'impianti di sicurezza con sezioni in Santa Teresa degli Scalzi e in San Benedetto. La consistenza e la funzionalità del museo vanno continuamente migliorando; si tratta d’istituzione che svolge un ruolo fondamentale nell'economia culturale del territorio. In questo quadro trovano collocazione programmi di formazione e di aggiornamento del clero e del laicato sulla cura e sulla promozione dei beni culturali attuati sia attraverso la partecipazione a corsi promossi dalla CEI che con proprie iniziative.

L'istituzione documenta le bimillenarie vicende della più antica sede diocesana del Salento sia attraverso i percorsi in sito che per i rimandi continui al tessuto territoriale con la costruzione di una rete organica di riferimenti.

Nell'atrio del Seminario sono materiali lapidei riferibili alla fabbrica della Cattedrale e a chiese del centro storico; rilievo particolare ha la statua in pietra di san Rocco.
Nel 1526, per scampo dalla peste, fu eretta in Brindisi, nei pressi di porta Mesagne, una chiesa in onore di san Rocco, concessa nel 1529 in uso ai carmelitani; nel tempo il culto per il santo, ancora invocato durante la peste del 1656, non venne meno. Allorché nello scorso secolo, nel decennio francese, fu decisa la generale soppressione degli ordini religiosi, con conseguente destinazione di convento e chiesa a usi impropri, la statua del santo fu traslata in cattedrale ove era stato un altare dedicato a san Rocco prima della ridefinizione seguita al sisma del 20 febbraio 1743. La statua, collocata in fondo alla basilica, fu poggiata su una vera di pozzo altomedievale ora conservata nel museo provinciale di Brindisi. Nel corso dei lavori, completati il 1923, voluti dall'arcivescovo Tommaso Valeri (1910-42), la statua trovò nuova collocazione e nuovo basamento nell'oratorio di San Michele; i restauri del 1957 promossi dall'arcivescovo Nicola Margiotta (1953-75) non previdero la conservazione in sito della statua che fu allora traslata nella chiesa di San Sebastiano o delle Anime.

La campana del XIV secolo, già della chiesa di Sant'Anna, porta la scritta del maestro Bartolomeo fonditore.
+ DUM PRIOR HIC MATHEUS ERAT NOS CONDIDIT AMBAS: +SET NOS PRESBITERI MANUS EGIT BARTOLOMEI

Non trascurabili sono le memorie dell'insediamento cappuccino in Brindisi. Nel 1588 i padri cappuccini ottennero in uso la chiesa di Santa Maria della Fontana allora radicalmente trasformata. Annota lo storico brindisino come restasse "nulladimeno in quelle rovine intatta la cappella e l'immagine di nostra Signora antica nel luogo istesso dove si trovava" offrendo così persistenza a remoti itinerari cultali. Il complesso subì interventi notevoli in connessione alle diverse destinazioni d'uso che ebbe una volta seguita la soppressione degli ordini religiosi con decreto luogotenenziale del 17 febbraio 1861. Resti pertinenti alla chiesa conventuale furono allora riversati in aree di discarica, da cui sono stati recuperati, prossime al complesso stesso. Paiono attribuibili al XVIII secolo.

Nelle sale espositive è l’Idria di marmo serpentino, sec. VIII. Si tratta di un "vaso dell'Epifania": era, infatti, proprio nel giorno dell'Epifania che era commemorato dalla liturgia il miracolo delle nozze di Cana, evento per il quale esso sarebbe stato originariamente realizzato. Il vaso, analogamente a molti altri esemplari cui è assegnata un'origine simile, fa dunque parte di quella schiera di vasi noti in ambito religioso e letterario come "idrie di Cana". Si tratta di manufatti realizzati in materiali preziosi e di provenienza orientale, spesso corredati di iscrizioni relative al rito di benedizione delle acque che avveniva proprio nel giorno dell'Epifania. Tali vasi compaiono in ambito religioso italiano sin dall'Alto Medioevo, quali doni di provenienza orientale. Per questo motivo la tradizione della provenienza dalla Terra Santa del vaso ha motivo di essere veritiera: le crociate sembrano anzi aver potuto costituire il veicolo più appropriato per l'arrivo di oggetti come questo, veri e propri trofei di guerra piuttosto che doni, ma comunque oggetti da esibire nelle sedi più autorevoli e cui attribuire origini illustri e significati simbolici strettamente collegati al potere politico e religioso. Oggi sappiamo essere stata l'idria brindisina realizzata nell'VIII secolo, in Egitto, per essere collocata nella chiesa di Kefer Kenna - località indicata, piuttosto che Khirbet Qana come l'antica Cana - quale memoriale del miracolo. Può ritenersi traslata a Brindisi nel corso del XIII secolo, forse in uno con le reliquie di san Teodoro d'Amasea, nell'occasione delle nozze, celebrate nella basilica Cattedrale il 9 novembre 1225, fra Isabella di Brienne, regina di Gerusalemme, e Federico II di Svevia (scheda sull'idria).

Madonna del Purgatorio (Barnaba Zizzi - 1789)La quadreria, collocata in Episcopio, offre notevole documentazione sulla produzione artistica non solo locale. Notevole è la cinquecentesca tela con rappresentazione della Madonna con Bambino. Restaurata il 1999, denota, nelle figure irrigidite, negli effetti chiaroscurali sui visi e sulle vesti, un linguaggio arcaico, tipico della tradizione dei madonneri del secolo XVI. Il gusto attardato ricorda, da un punto di vista compositivo, modi tipici di Jacopo de Vanis che dovette esercitare una certa influenza sulle botteghe brindisine del secondo Cinquecento. Tali influssi stilistici sono riscontrabili nella figura muliebre che reclina leggermente il capo, in quei tipici morfemi delle mani sproporzionate nel rapporto tra le dita e il metacarpo, nei duri panneggi delle vesti. L'opera può ricondursi a una bottega locale della seconda metà del XVI secolo, vicina all'ambiente del de Vanis. Magnifica è la Maddalena, olio su tela, del XVIII secolo. Il dipinto pare opera di pittore "informato sui fatti artistici della cultura napoletana dei primi decenni del Settecento. Pur sviluppando un linguaggio pittorico autonomo l'artista rivela influssi, sia pure vaghi, dell'ambiente solimenesco". Il Sant'Antonio col Bambino, olio su tela, presenta motivi stilistici riconducibili, come rilevato da Antonio Infante, a Paolo De Matteis (Piano del Cilento, Orria, SA, 1662 - Napoli, 1728). La Madonna con Bambino, olio su tela, XVIII secolo, si deve a bottega locale, influenzata in qualche misura dalla cultura napoletana seicentesca. La figura della Madonna seduta e del Bambino benedicente raffigurato in piedi sono ben realizzate: oscurate da una penombra creata da una fonte luminosa. L'Educazione di Maria, olio su tela, XVIII secolo, pare da ascriversi a un ignoto pittore locale seicentesco di cultura genericamente meridionale. La Madonna con Bambino e san Giovannino, olio su tela, XVIII secolo per lo schema compositivo rimanda a modelli classicheggianti. L'opera realizzata tra la fine del '600 e primi del secolo successivo deriva da un analogo soggetto raffaellesco, la Madonna del Diadema. La Madonna del Latte, olio su tela, ha caratteri stilistici genericamente riferibili a una cultura seicentesca: vedi, gli alleggeriti effetti pittorici e chiaroscurali sui volti e le biancastre lumeggiature sugli incarnati che denunciano un'attenzione a dati naturalistici. Il San Paolo apostolo, olio su tela, è attribuibile al XVIII secolo come la Sant'Agata, opera che si muove lungo le direttrici del naturalismo napoletano.

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Idria di marmo
Madonna con Bambino
San Francesco Saverio
Angelo con simbolo della Passione

Il percorso si completa in Santa Teresa degli Scalzi; qui documentano l'attività di botteghe locali settecentesche il San Francesco Saverio, dipinto nel 1749 dal brindisino Giovanni Scatigno (1726 - c.1780), la Madonna del Purgatorio (foto sopra a destra), dipinta il 1789 dal cistranese Barnaba Zizzi (1762-1828) e i due ovali con Anime purganti. L'Angelo con il simbolo della Passione: la scala della Croce, è stato da Lucio Galante attribuito ad ambito di Simon Vouet (1590-1649) che una serie di dodici angeli coi simboli della passione dipinse per il cardinal Ascanio Filomarino di Napoli. Il dipinto brindisino, restaurato il 1991 da Francesca Marzano, scrive Lucio Galante, "rivela un autore che è così vicino al modello, anzi che ha una tale conoscenza del suo stile da confondersi col medesimo. In altre parole sarebbe impensabile un tale dipinto al di fuori dello stretto entourage del Vouet" (lettura del dipinto e tracce didattiche).

A ignoti argentieri meridionali è attribuibile la duecentesca arca d'argento di san Teodoro d'Amasea. Nel XIII secolo, in età federiciana, forse il 27 aprile del 1210 come vuole la tradizione o più probabilmente il 1225 in occasione delle nozze di Federico II con Isabella di Brienne, regina di Gerusalemme, le reliquie di san Teodoro d'Amasea furono traslate in Brindisi dalla città anatolica di Euchaita. Le spoglie, giunte avvolte in uno sciamito, troveranno collocazione in un'arca le cui quattro facce verticali sono completamente rivestite di lastre d'argento; la frontale e la laterale sinistra figurate con rilievi a sbalzo. Nella parte superiore è chiusa con due grate, una semplice, di ferro, l'altra, d'argento, cesellata. Le varie lastre d'argento, realizzate, ad eccezione della Vergine col Bambino sulla testata sinistra della cassa e del San Giorgio a cavallo che uccide il drago sul lato frontale, nella prima metà del XIII secolo furono adattate alla cassa attuale di cipresso, realizzata, verosimilmente, nel XVI secolo Sul lato frontale sono, da sinistra verso destra, le immagini affiancate dei due santi vescovi Leucio e Pelino, benedicenti alla greca, con pallio, mitra e pastorale; episodi salienti della vita di san Teodoro e traslazione delle sue reliquie in Brindisi; condanna di san Teodoro. Sulla testata sinistra è riproposta la passio di san Teodoro. La circostanza che, nell'ultima lastra del lato frontale, il sovrano che giudica il santo si presenti per due volte sfigurato e in una privato del volto, indurrebbe a pensare a rappresentazioni di Federico II rese irriconoscibili in età angioina. (scheda di approfondimento)

Lo sciamito operato a due trame avrebbe avvolto i resti di san Teodoro all'atto della loro traslazione da Eucaita a Brindisi il 1225. Il tessuto di seta dal fondo dorato è ornato di medaglioni polilobati, disposti in serie ordinate in orizzontale e verticale.
Un fregio continuo ad archetti, con piccoli fiori rivolti all'interno, costituisce la cornice del medaglione e racchiude due grifi rampanti, addossati nei corpi e contrapposti nelle teste, caratterizzati da anatomia poco marcata, grande occhio, becco adunco, accenno di barba, orecchie equine, zampe e parte posteriore del corpo leonine, ali stilizzate.
Ciascun medaglione è circondato da rosette composte da sedici fiori rossi a otto petali mentre motivi a intreccio costituiti da un quadrilobo e da quattro piccoli cerchi riempiono gli interspazi tra i medaglioni. La seta è lavorata in armatura di sciamito:
(scheda di approfondimento sulla sciamito)

Il telo presenta evidenti caratteristiche tecniche e stilistiche di ispirazione bizantino-sasanide. La preziosità tecnica è accompagnata a quella materica: seta e oro membranaceo noto fino alla fine del Medioevo come "oro di Cipro" prodotto anche a Bisanzio, introdotto in Occidente attorno al IX secolo compongono il telo. I segni decorativi si confrontano con almeno altri tre reperti di notevole valore: il piviale di Bonifacio VIII conservato ad Anagni, il cosiddetto mantello di Don Felipe conservato al Musée Historique des Tissus di Lione e il tessuto di una mitra vescovile conservata sempre a Lione.

Le scarpe bianche, ricamate, da pontificale, appartennero al beato Giovanni XXIII, da cui furono donate al canonico Augusto Pizzigallo. Il leggio ligneo costituiva verosimilmente la parte centrale del coro della chiesa di San Benedetto demolito il 1925. Fu eseguito, per quel che si rileva da una data dipinta sul retro ove sono le immagini, in ovale, di San Benedetto e Santa Scolastica, il 1665.

L'urna in legno per le votazioni capitolari ha, su tre delle due facce, rappresentazioni di San Leucio (foto), San Teodoro (foto) e dello stemma del Capitolo.

La croce astile in argento fu realizzata a spese della clarissa Maria Cherubina Leo che ricoprì in Santa Maria degli Angeli l'ufficio del sacristanato il 1732. L'uso delle croci astili risale all'alto medioevo. Poiché il sacerdote celebrava stando dietro l'altare, la Croce non veniva posta sopra la mensa, ma stava a sinistra, sorretta da un crociferario, e serviva anche da croce processionale. Nelle croci processionali del XV secolo la fantasia gotica si esprime con grande esuberanza. Sono della prima metà del secolo le splendide Croci delle maggiori scuole di Venezia, in cristallo di rocca e argento, tutte frastagliate da fiori e figurette d'angeli. Più severe, con prevalenza di elementi plastici, sono le croci abruzzesi, fra cui sono note quelle di Nicola da Guardiagrele. Probabile, come rileva Giovanni Boraccesi, si trattasse, originariamente, di una croce d’altare tramutata in astile fra il 1824 e il 1831 con l’aggiunta del nodo e dell’asta processionale.

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Croce astile
Pastorale d'argento
Santa Teresa d'Avila

Il pastorale d'argento, reca lo stemma dell'arcivescovo Giuseppe de Rossi (1764 -1778), nobile, originario di Napoli. Si tratta di un'insegna liturgica propria del vescovo e degli abati nelle funzioni pontificali, eccettuate quelle del Venerdì Santo e dei defunti. Consta di un'asta dell'altezza di un uomo, munita al di sopra di una curvatura a spirale; è consegnato nel giorno della consacrazione ed è portato nella sinistra, la curvatura verso il popolo nel territorio proprio. Il modello impostosi nel secolo XVIII si è rivelato persistente; esso vede il motivo delle foglie, dei fiori, delle ghirlande comporre voluta elegante intorno alle statuette centrali; la ricca decorazione del nodo è soppressa a vantaggio di una maggiore facilità dell'impugnatura.

Il calice, del primo seicento, già in Episcopio, reca, sotto il piede, l’incisione: MARIA IACINTHA PINCETI 1638. L’ostensorio raggiato, del Capitolo Metropolitano di Brindisi, è databile alla prima metà del Seicento; il piatto da parata, pur esso del Capitolo, fu realizzato in Napoli il 1694 dall’argentiere Andrea Califano. Il calice, già della famiglia Antonelli-Incalza di Ostuni, pare seicentesco. Le due legature di libro liturgico, già in Santa Maria degli Angeli, sono databili l’una al 1732, durante il sacristanato di suor Maria Geronima Martini e suor Maria Cherubina Leo, l’altra, attribuibile a Baldassarre De Blasio, al 1738. Le tre cartegloria, anch’esse già in Santa Maria degli Angeli, furono realizzate negli anni trenta del settecento dall’argentiere Simone Cimmino. Pertinenti al Capitolo della Cattedrale di Brindisi sono due legature di libro liturgico con lo stemma dell’arcivescovo Antonino Sersale (1743-50). L’indice segnalibro, anch’esso del Capitolo, fu realizzato in Napoli nella prima metà del XVIII secolo, come la palmatoria e l’ottocentesco servizio da lavabo. La corona da statua è verosimilmente attribuibile ai primi del XIX secolo.

Il busto in cartapesta di Santa Teresa d'Avila fu realizzato, per la chiesa annessa al conservatorio di Santa Chiara in Brindisi, ai primi del XVIII secolo. Come di consueto la santa è raffigurata in un momento di estasi; probabile che nella dizione originaria un angelo le trafiggesse il cuore con un dardo aureo.

L'immagine dipinta su vetro della sibilla tiburtina, d'età romana, fu rinvenuta il 1763 dal carmelitano Vincenzo Morelli e da questi donata a Ortensio De Leo per essere collocata nel suo museo. La collezione, dopo alterne vicende segnate anche da spoliazioni, confluirà nello scorso secolo, pressoché nella sua interezza, nel museo provinciale di Brindisi. La sibilla è nella tradizione classica una vergine, giovane, ma talora pensata anche come decrepita, la quale quando è ispirata e quasi posseduta da Apollo rivela il futuro. Pur essendo unica nella concezione, la sibilla ha avuto varie specificazioni locali associate quasi sempre a una fonte sacra o a un antro; Varrone ne fissa il numero a dieci e le dispone nel seguente ordine cronologico: Persica, Libica, Cimmeria, Eritrea, Samia, Cumana, Ellespontica, Frigia e Tiburtina. A quest'ultima si attribuiscono carmi isolati, compresi negli Oracoli Sibillini, databili a tardissima età imperiale. Nella chiesa di Fontegiusta a Siena un affresco di Baldassare Peruzzi, databile 1528, raffigura la sibilla tiburtina che annuncia all'imperatore Augusto la nascita di Nostro Signore. L'affresco di Raffaello nella chiesa di Santa Maria della Pace a Roma quattro sibille, e fra queste la tiburtina, sono raggruppate con diversi puttini in un’armoniosa scena elegiaca.
Sul retro dell'immagine brindisina, su proprio supporto, è un testo dettato da Ortensio de Leo

TIBURTINAE SANCTISSIMAE VATIS
IMAGINEM CRYSTALLO SCITE PICTAM
CARBINATUM SUBURBANO IN AGRO
IN SALLENTINEIS
SYBILIO DICTO
A. S. MDCCLXIII FORTE EFFOSSAM
VINCENTII MORELLI CARMELIT. FAMIL. THEOL. MAG.
OPPIDI INDIGENAE CURA
STUDIOSAE POSTERITATI SERVATAM
AB EODEM VIRO HUMANISS(IMO)
MOX DONO GRATISSIMO ACCEPTAM
UNA CUM FICTILIBUS VASCULIS
HORTENT(IU)S DE LEO
ANTIQUITATIS ADMIRATOR
MUSEOLO SUO P. A. D.
XV KAL. IUNII

Il Privilegium Imperatoris Friderici II confirmantis Peregrino Archiepiscopo Brundusino omnia jura Ecclesiae suae ob ejus merita praestitaque servitia eidem Principi ab ejus incunabulis, pergamena, del 1219 reca la firma autografa dell'imperatore Federico II conferma all'arcivescovo di Brindisi Pellegrino d'Asti (1216-22) le prerogative patrimoniali e giurisdizionali di cui la sua chiesa godeva ab antiquo.

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sibilla tiburtina
dipinta su vetro
Piatto per elemosine
(chiesa S.Paolo)
Piatto per elemosine
(chiesa S.Teresa)
Pergamena a firma
di Federico II

Il piatto per elemosine in ottone, di manifattura tedesca, realizzato per la chiesa di San Paolo in Brindisi nei primi decenni del cinquecento non è inconsueto per la Puglia del XV-XVI secolo. Fra gli esemplari pugliesi che mostrano un uguale motivo ornamentale a foglie incurvate e gonfie, sono quelli conservati nel museo diocesano di San Severo e nel tesoro della Cattedrale di Volturara e della sua chiesa badiale di San Bartolomeo in Galdo. Altro, analogo e coevo fu realizzato per la chiesa di Santa Teresa con diverso motivo ornamentale: il Paradiso Terrestre con Adamo ed Eva sotto il melo proibito, l'albero della conoscenza del bene e del male. Può essere raffrontabile con quello conservato nel museo diocesano di San Severo. Sul fondo del piatto, entro due cerchi concentrici è l'iscrizione RATME(IN) W(E)IS(SE) K(U)N(DE) U(ND) S(O) S(E)I ossia: "La volontà mia sappi annunciare e così sia".

La Sacra Famiglia con san Giovannino, già nella Basilica Cattedrale, è interessante per originalità. La tavola, restaurata il 1741, era parte di un polittico forse avente a soggetto l'Adorazione dei Magi; reinterpretata come anta destra di una porta per la perdita dell'altare di riferimento documenta la trasformazione della figura di san Giuseppe in senso classico sul paradigma del senescente pio Enea.
Nel museo è la documentazione della visita pastorale effettuata in Brindisi da Sua Santità il pontefice Benedetto XVI il 14-15 giugno 2008; sono qui conservati i paramenti sacr
i (scheda), il calice (scheda) e il messale allora utilizzati.

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L'Educazione
di Maria
Maddalena
Madonna con
Bambino
Madonna
del latte
Sacra Famiglia
e S.Giovannino
Sant'Agata
San Antonio
con Bambino
San Paolo

Foto di Umberto de Vitti per Ufficio Beni Culturali Ecclesiastici

Il Museo in Santa Teresa degli Scalzi
(foto di Giovanni Membola - dic. 2012)

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  1. Museo diocesano “Giovanni Tarantini”. BARNABA ZIZZI, Madonna del Purgatorio.
  2. Museo diocesano “Giovanni Tarantini”. Medagliere.
  3. Museo diocesano “Giovanni Tarantini”. Ambienti espositivi.
  4. Museo diocesano “Giovanni Tarantini”. Ambienti espositivi.
  5. Museo diocesano “Giovanni Tarantini”. Ambienti espositivi.
  6. Museo diocesano “Giovanni Tarantini”. Ambienti espositivi.
  7. Museo diocesano “Giovanni Tarantini”. Ambienti espositivi.
  8. Museo diocesano “Giovanni Tarantini”. Ambienti espositivi.
  9. Museo diocesano “Giovanni Tarantini”. Ambienti espositivi.
  10. Museo diocesano “Giovanni Tarantini”. Ambienti espositivi.
  11. Museo diocesano “Giovanni Tarantini”. Arca di san Teodoro d’Amasea.
  12. Museo diocesano “Giovanni Tarantini”. Urna per le votazioni del Capitolo Cattedrale.
  13. Museo diocesano “Giovanni Tarantini”. Gesù bambino.
  14. Museo diocesano “Giovanni Tarantini”. Mitria del vescovo Orazio Semeraro (1906 -91).
  15. Museo diocesano “Giovanni Tarantini”. Parato capitolare.
  16. Museo diocesano “Giovanni Tarantini”. San Pietro Apostolo.
  17. Museo diocesano “Giovanni Tarantini”. Ostensorio.
  18. Museo diocesano “Giovanni Tarantini”. Santa Teresa d’Avila.
  19. Museo diocesano “Giovanni Tarantini”. Santa Teresa d’Avila.
  20. Museo diocesano “Giovanni Tarantini”. Memorie della visita di Sua Santità Benedetto XVI in Brindisi. Pianeta e dalmatica.
  21. Museo diocesano “Giovanni Tarantini”. Cartagloria, legature di libro liturgico, calici.
  22. Museo diocesano “Giovanni Tarantini”. Memorie della visita di Sua Santità Benedetto XVI in Brindisi. Mitria, messale, calice.
  23. Museo diocesano “Giovanni Tarantini”. Reliquiari.
  24. Museo diocesano “Giovanni Tarantini”. Crocefisso.
  25. Museo diocesano “Giovanni Tarantini”. Crocefisso.
  26. Museo diocesano “Giovanni Tarantini”. Pergamena con firma autografata dell’imperatore Federico II (1194 – 1250).
  27. Museo diocesano “Giovanni Tarantini”. Piatti per elemosina.
  28. Museo diocesano “Giovanni Tarantini”. Piatto da parata, ostensorio, indice segnalibro, palmatoria, servizio da lavabo.
  29. Museo diocesano “Giovanni Tarantini”. Pianeta.
  30. Museo diocesano “Giovanni Tarantini”. Pianeta.
  31. Museo diocesano “Giovanni Tarantini”. Piviale.
  32. Museo diocesano “Giovanni Tarantini”. Velo omerale.
  33. Museo diocesano “Giovanni Tarantini”. Borsa.
  34. Museo diocesano “Giovanni Tarantini”. Velo di calice.
  35. Museo diocesano “Giovanni Tarantini”. Legature di libro liturgico con lo stemma dell’arcivescovo Antonino Sersale (1743-50) e Angeli in argento.
  36. Museo diocesano “Giovanni Tarantini”. Sciamito operato a due trame.
  37. Museo diocesano “Giovanni Tarantini”. Vasi per gli oli santi, secchiello e aspersorio.
  38. Museo diocesano “Giovanni Tarantini”. Ostensorio per la processione del Corpus Domini.
  39. Museo diocesano “Giovanni Tarantini”. Ostensorio per la processione del Corpus Domini (particolare)
  40. Museo diocesano “Giovanni Tarantini”. Fermagli da piviale, pisside, borsa e velo di calice.

Foto di Alessia Broccio
           
           

Il Museo. Proposta di un racconto di Domenico Summa

 
 
 

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Documenti
Catalogo completo delle tele disposte al 1° piano del palazzo del Seminario.
Mauro Conte, Considerazioni intorno ad alcuni aspetti della pittura tardomanierista nelle province regnicole controriformate e su un inedito dipinto del museo diocesano di Brindisi
Antonio Mingolla. Su due inediti crocefissi lignei brindisini
La Chiesa di Santa Teresa degli Scalzi - Note sul patrimonio d'interesse storico -artistico

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